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venerdì 20 aprile 2012

Primo dissidio con Gerusalemme (“L'invenzione del cristianesimo”) 92


A Gerusalemme non tutti erano d'accordo sull'inserimento dei non ebrei nella nuova comunità cristiana. Alcuni farisei vi si opponevano recisamente, convinti che il ritorno del Risorto riguardasse il solo popolo eletto e non i pagani peccatori. Erano ancora fermi al concetto di religione tribale. Probabilmente a sollevare il problema era stato Marco, il figlio di Pietro, che improvvisamente (forse non condividendo la conversione dei pagani) aveva interrotto la sua collaborazione con Paolo e Barnaba ed era rientrato a Gerusalemme, mettendo in guardia quella comunità sul metodo seguito da Paolo.

Allora la Chiesa di Gerusalemme, divenuta sotto Giacomo totalmente ligia al giudaismo, sospettando che la comunità ellenistica guidata da Paolo avesse ormai assunto una caratteristica tutta propria che la poneva in aperta contraddizione con la tradizione giudaica, mandò alcuni suoi inviati (per Paolo “falsi fratelli intromessisi”) ad Antiochia a studiare la situazione e ne nacque una «violenta polemica» (Galati 2,4; Atti, 15,2) con Paolo, che rasentò la ribellione.

Quando, dopo lunghe discussioni, la Chiesa di Gerusalemme decise di aprire il cristianesimo ai gentili, impose loro, come conditio sine qua non per essere accolti come cristiani, l'obbligo di farsi prima ebrei, di abbracciare cioè in toto la legge mosaica e di subire la circoncisione. Condizione estremamente dura e insopportabile per i gentili ma facilmente comprensibile per gli ebrei che ritenevano il cristianesimo non una nuova religione, come diverrà successivamente con Paolo, ma un completamento dell'ebraismo.

Paolo e lo stesso Barnaba si resero subito conto dell'assurdità della cosa. Già la legge ebraica era di difficile osservanza in Palestina, dove la maggior parte della popolazione era ebrea, e diventava quasi impossibile per gli ebrei della diaspora che vivevano in mezzo ai gentili perché, tra le altre cose, imponeva il rispetto rigoroso del riposo del sabato, del tutto ignorato dai pagani e oggetto di scherno da parte loro, e prescriveva norme alimentari e di purificazione di difficile attuazione al di fuori della Palestina.

Se, per il pagano che voleva convertirsi, si aggiungeva a queste difficoltà anche l'obbligo della circoncisione, per di più in età adulta e con tutte le conseguenze che implicava, non ultima l'umiliazione di una mutilazione spregevole che simboleggiava una castrazione, appariva evidente per Paolo l'impossibilità per un gentile di convertirsi.



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)