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venerdì 13 aprile 2012

La morte? Le persone religiose la temono molto più dei non credenti.


Una ricerca di Chris Ellis dell’università di Malaya, dimostra che più uno è credente, più teme la morte. Il fatto riguarda soprattutto i credenti delle religioni monoteiste, cioè cristiani, musulmani ed ebrei. Molto meno,invece, i seguaci delle religioni orientali. I non credenti, invece, accolgono il trapasso con serenità, senza inutili patemi, col solo dispiacere di lasciare parenti ed amici. Sanno che nell'aldilà non c'è niente e quindi non temono il chimerico castigo dell'inferno.

Siccome il dio monoteista, che sia il Padreterno, Jahvè o Allah,viene rappresentato dai capi religiosi come una divinità collerica, vendicativa, che impone all'uomo mille stupidi divieti, impossibili da rispettare e quindi causa di grossi e frequenti peccati, il credente, al momento della morte, sapendo di non averli rispettati tutti in maniera ligia, teme una possibile resa dei conti catastrofica, con una pena eterna sulla groppa. I non credenti sanno bene che è un timore demenziale perché, non solo nessun dio esiste ma anche se esistesse mai potrebbe comminare all'uomo (teoricamente una sua creatura) un castigo così spropositato. Ma datelo ad intendere a chi è stato costretto a bere questa panzana fin da quando succhiava il latte materno.

D'altra parte i capi religiosi sanno fin troppo bene che la minaccia dell'inferno è la loro arma più micidiale per ricattare i fedeli. Per fortuna la secolarizzazione avanza ad un ritmo inarrestabile e riguarda soprattutto le nuove generazioni che sono sempre più restie a farsi infettare dal complesso di colpa per aver commesso ipotetici peccati e sempre meno disposte a credere alle panzane religiose, per cui l'esercito dei non credenti, un tempo striminzito, oggi avanza al galoppo.

In Germania, ad esempio, solo un tedesco su tre crede in una vita dopo la morte. Ce lo rivela il quotidiano tedesco Bild secondo il quale solo il 36 per cento degli interpellati nel corso di un sondaggio si sono detti convinti che la morte biologica non sia la fine di tutto; al contrario, un 28% pensa che dopo la morte fisica non vi sia altro, mentre la stessa percentuale è dell’idea che si continua a vivere “unicamente nel ricordo di chi è rimasto”. Ancora più sorprendentemente, risulta che la credenza in una vita dopo la morte non è più maggioritaria nemmeno tra molti che si definiscono cattolici. E questo nel paese dell’attuale papa.

Se si pensa che, ancora oggi, quasi due terzi della popolazione tedesca si riconosce formalmente in una confessione religiosa, pagandole anche le relative tasse, ci si rende conto di quanto l’autoidentificazione religiosa non sia quasi più una questione di fede, quanto piuttosto un’identità culturale automaticamente ereditata in famiglia, trasmessa inerzialmente ‘per tradizione’ dai genitori ai propri figli. Analoghe situazioni le riscontriamo in molti altri Paesi europei e nel nord America.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)