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giovedì 31 maggio 2012

Peccato e Redenzione. Gli eccessi dell'ascetismo. 77


Una mortificazione così drastica e assoluta degli istinti più naturali e, soprattutto, la demonizzazione e repressione del sesso, rendevano gli asceti continuamente ossessionati da pensieri perversi e lascivi. Infatti tutti costoro erano incessantemente tentati dal sesso e vivevano tra continui tormenti.

Santa Teresa d’Avila confessava che di continuo ogni vizio era in lei risvegliato, e Santa Caterina da Siena si dichiarava perseguitata da intere schiere di demoni, che lussuriavano nella sua cella e persino in chiesa.

San Girolamo, autore della Vulgata (la Bibbia tradotta in latino), dottore e Padre della Chiesa, confessava che, pur vivendo tra bestie e scorpioni, era continuamente tormentato da visioni di belle fanciulle danzanti che lo tentavano. «Il mio volto era pallido per il digiuno, ma nel corpo freddo lo spirito ardeva di caldissime brame, e nella fantasia di un uomo, la cui carne era da lungo tempo pressoché morta, ribolliva ancora il fuoco di maligne libidini».

Lo scopo di tutta questa macerante penitenza, con la rinuncia a tutto quanto la vita può offrire di bello, buono, sano, utile e dilettevole? La beatitudine eterna nell’aldilà. Quale aldilà? Quello utopico, chimerico, creato da una favola infantile e che nessuno ha mai visto e dal quale nessuno ci è mai venuto a informare. Una bufala mostruosa, quindi, che magnificando un mondo fittizio ci impedisce il pieno godimento di quello reale. 

Seconda guerra giudaica e fine d'Israele (“L'invenzione del cristianesimo”) 126


L'ultima importante incarnazione del Messia nazionale d'Israele fu quella di Bar Kochba che nel 135 d.C. determinò, con la sua insurrezione, la seconda e definitiva distruzione di Gerusalemme e della Palestina. L'imperatore Adriano, di fronte a quell'ennesima rivolta, pensò bene di risolvere il problema alla radice. Ordinò di cancellare a Gerusalemme e nella Palestina ogni traccia che si riferisse all'ebraismo e al cristianesimo. 

Quindi fece spianare il Golgota, sconvolse radicalmente ogni aspetto della vecchia città santa e sulle rovine del Tempio fece erigere, come suprema profanazione, un tempio pagano con le statue di Giove Capitolino e di altre divinità.

Ciò determinò la cancellazione di tutti i monumenti religiosi ebraici e cristiani rimasti dopo la guerra del 70. Quindi tutti i riferimenti attuali ai luoghi santi (ad esempio il santo sepolcro individuato da Elena, madre di Costantino, nel IV secolo) sono inattendibili sotto ogni punto di vista (alla luce anche delle successive stratificazioni apportate dai musulmani nel lungo periodo della loro dominazione). Furono i pellegrini e i crociati a inventarli nel Medioevo, assieme all'ubicazione della città di Nazareth.

Non pago degli stravolgimenti radicali operati a Gerusalemme e in Palestina, Adriano proibì agli ebrei, che si erano salvati nella fuga, di rientrare, pena la morte, nei loro territori e nella nuova Gerusalemme, ribattezzata Aelia Capitolina, e da allora iniziò la vera diaspora ebraica che durò fino alla nascita dello Stato d'Israele nel 1948.
I resti della nazione ebraica, scampati alla strage, furono costretti, di fronte ad un avvenimento così catastrofico, a riesaminare la loro storia. Allora divenne a tutti chiaro che il messianismo era stato una stolta, assurda e delirante chimera, dalla quale bisognava subito e definitivamente prendere le distanze, perché la sconfitta suonava come un giudizio inappellabile di Dio.

Le Apocalissi passarono subito di moda e Roma cessò di essere la grande Meretrice, la grande Babilonia assetata del sangue dei martiri e l'Impero non fu più considerato il regno del maligno e delle potenze sataniche ma l'espressione della volontà divina, cui tutti, anche i cristiani, dovevano sottostare.

Moneta coniata da Bar Kochba


mercoledì 30 maggio 2012

Il falso Jahvè. Rivalità Tempio di Gerusalemme e Santuario Bethel. 114


Ma se Israele e Giuda adoravano lo stesso Dio, sia pure attribuendogli nomi diversi, in che cosa consisteva l'accusa d'idolatria rivolta da Giuda ad Israele? Leggendo tra le righe del Vecchio Testamento scopriamo che l'oggetto delle accuse non era tanto il Dio o il suo nome, quanto il fatto che Baal era associato ad un toro o a un vitello.
"Essi presero il toro, lo prepararono e invocarono Baal [...] Fecero anche delle danze sacre attorno all'altare che avevano costruito" (1 Re 18,26).

Abbiamo visto in precedenza che Geroboamo eresse due statue raffiguranti dei vitelli, una delle quali fu collocata nel santuario più importante, quello di Bethel, la casa di Dio. L'archeologia ha confermato che il Dio che gli autori dell'Antico Testamento chiamavano Baal era effettivamente associato con il toro. Gli scavi effettuati alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso a Samaria, l'antica capitale d'Israele, da un'equipe dell'Università di Toronto (D. Simkiss, Archaeological Review, III, 1984), hanno portato alla luce i resti del tempio a cielo aperto costruito dal re Acab, distrutto verso l'anno 840 a.C. dal generale Ieu per ordine del profeta Eliseo, come ci viene testimoniato dalla Bibbia.

"Ieu ordinò alle guardie e ai loro capi: «Venite e uccideteli tutti (i seguaci di Baal). Non lasciatevi sfuggire nessuno!» Li uccisero a colpi di spada e gettarono fuori i cadaveri. Poi penetrarono nella parte più interna del tempio di Baal. Portarono fuori la stele di Baal e la distrussero con il fuoco. Distrussero la stele di Baal, demolirono il tempio" (2 Re 10,25-27).

Il Toro sacro


Prima guerra giudaica. (“L'invenzione del cristianesimo”) 125


Secondo Giuseppe Flavio in quel periodo la situazione degli ebrei della Palestina peggiorava di giorno in giorno. Il paese era pieno di bande di zeloti, di ribelli e di sicari che creavano subbugli e infiammavano le moltitudini alla rivolta. Re Agrippa II e i romani non riuscivano più a controllare la situazione e c'era nell'aria sentore di catastrofe. Nel 66, infatti, in seguito ad un'ennesima ribellione e al massacro della guarnigione romana, scoppiò la Guerra Giudaica, che si concluse nel 70 con la distruzione di Gerusalemme e lo sterminio di gran parte del popolo ebraico.

Dopo l'assassinio di Giacomo a capo della Chiesa di Gerusalemme fu eletto un cugino di Gesù, Simone figlio di Cleofa. Secondo Eusebio di Cesarea questo Simone, per intervento divino, nel 70 riuscì ad abbandonare Gerusalemme poco prima della caduta della città, e a rifugiarsi a Pella in Perea. In seguito, rientrò coi pochi cristiano-giudei superstiti. Si riformò una piccola comunità cristiana che sopravvisse, in mezzo a infiniti stenti, fino al 135, quando, nella seconda e definitiva distruzione di Gerusalemme da parte dell'imperatore Adriano, anch’essa dovette fuggire dalla città.


Sotto il nome di nazirei e di ebioniti, i pochi cristiano-giudei salvatisi con la fuga continuarono a sopravvivere in piccoli gruppi sparsi in Palestina, Siria e Asia, considerati eretici dalla chiesa trionfante di Paolo, come ci attestano i Padri della Chiesa.

Essi continuarono ad usare solo il Vangelo originale degli Ebrei, in lingua ebraica, e rimasero osservanti scrupolosi della Legge, rifiutando tutte le invenzioni teologiche di Paolo. Tra di loro c'erano i discendenti di Gesù. Credevano ancora che Gesù sarebbe ritornato come Messia e Re per instaurare sulla Terra un regno millenario di pace, giustizia e prosperità.

martedì 29 maggio 2012

Benedetto XVI come re Lear, incapace c di tenere a bada la sua corte?


È quanto si deduce dai recentissimi e sempre più frequenti scandali che esplodono in Vaticano. É chiaro che c’è un gruppo clandestino in Curia (non il solo maggiordomo arrestato ieri) a volere un cambio di gestione al vertice. L’arma che brandiscono i congiurati riguarda i recenti autogol internazionali di Bertone. In un anno il Segretario di Stato ne ha piazzati tre, tutti dannosi per l’immagine di Benedetto XVI e il suo desiderio di garantire pulizia e trasparenza nelle finanze e nell’amministrazione vaticana. 
Il primo è stato la rimozione di Monsignor Carlo Maria Viganò, segretario del Governatorato, trattato da mitomane per aver denunciato la corruzione negli appalti in alcuni settori amministrativi del Vaticano. Il secondo è la pessima figura presso l’organismo europeo, Moneyval, incaricato di verificare lo standard antiriciclaggio delle banche d’Europa. Con l'affossamento dell'Authority voluta dal papa per portare lo Ior nella “lista bianca” del sistema bancario internazionale, Bertone ha impedito la trasparenza per il passato, ignorando le accorate proteste del cardinale Nicora e di Gotti Tedeschi.
 Terzo clamoroso autogol : l’estrema brutalità con cui è stato silurato il presidente dello Ior Gotti Tedeschi. Mai era accaduto negli ambienti curiali, così felpati, che si colpisse tanto duramente nell’onore un uomo scelto dal Papa. Segno evidente che la lotta di potere all’interno della Curia ha raggiunto un livello di parossismo impensabile e che Benedetto XVI sia ormai un pontefice debole e fragile, incapace come re Lear di tenere a bada la sua corte. A complicare ulteriormente le cose ecco la pubblicazione di un libro bomba di Gianluigi Nuzzi del titolo "Sua Santità" (ed. Chiarelettere) in cui vengono svelati gli intrighi di potere, corruzione e intrecci tra il Governo italiano e la Chiesa, attraverso carte segrete di Papa Benedetto XVI, inedite e private,sottratte dalle sue stanze. Il libro di Nuzzi è esplosivo sotto tanti punti di vista perché svela trame che non riguardano solo il Vaticano, ma tutta la politica italiana e internazionale 
Sapere che c’è stato un lavoro diplomatico che si è sviluppato tra l’Italia e il Vaticano per evitare a quest'ultimo di pagare una multa sugli arretrati della tassa dell’Ici e che questa trattativa si è sviluppata in incontri tra Tremonti e l’ex presidente della Banca dello Ior Gotti Tedeschi, interessa tutti gli italiani che pagano le tasse. Come pure interessa conoscere la ‘nota preparatoria’ scritta da monsignor Dominique Manberti, ministro degli Esteri della Santa Sede, per Benedetto XVI in occasione di una cena segreta con il nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Nella nota, Dominique Manberti indica al Papa una serie di appunti relativi all’incontro del 19 gennaio 2009, giorno in cui vedrà Napolitano. In essa si introducono i temi di interesse della Santa Sede e della Chiesa in Italia. Si evidenzia la centralità e il valore della famiglia e, in seguito, i temi eticamente sensibili. In questi appunti è scritto che il papa deve far pressione su Napolitano per evitare equiparazioni legislative e amministrative tra le famiglie fondate sul matrimonio e altri tipi di unione. 
 C’è scritto, inoltre, che riguardo all’ipotesi di intervento legislativo in materia di fine vita e di fine trattamento, di raccomandare al Presidente di impedire che l’eutanasia passi. Infine parla anche di favorire la parità scolastica e di contenere il calo demografico. Sono indicazioni precise che il Papa deve fare su Napolitano. Dimostrazione lapalissiana di come lo Stato vaticano esercita enorme pressione sullo Stato italiano. Immediatamente dopo la pubblicazione del suo libro ‘Sua Santità’, il Vaticano ha comunicato che agirà per vie legali contro l'autore e l'editore. 
La sua reazione oscurantista ignora che in Italia per la Cassazione non esiste la ricettazione di notizie. Comunque è veramente curioso che un Paese, come il Vaticano, che ha introdotto soltanto nel 2009 la legge antiriciclaggio, indichi alle autorità italiane il reato di ricettazione.

Lapidazione di Giacomo, fratello di Gesù. (“L'invenzione del cristianesimo”) 124


La chiesa di Gerusalemme, dopo un lungo periodo di tranquillità, durante la quale aveva goduto dell'appoggio di molti farisei e soprattutto del popolo che la stimava per la sua alta pietà e per il suo continuo prodigarsi a favore dei poveri, ricevette nel 63 un durissimo colpo con la lapidazione di Giacomo, fratello del Signore, suo capo incontrastato fin dalla morte di Gesù, nonché nemico implacabile di Paolo. La sua morte sembrò a tutti un autentico omicidio su commissione.

Mentre, come faceva più volte al giorno, si recava al Tempio per pregare, Giacomo fu aggredito per la via, gettato dalle mura e lapidato. Il sommo sacerdote Anania ne aveva ordinato l'uccisione, tra l'indignazione popolare, poiché Giacomo aveva pubblicamente osannato al fratello crocifisso come al figlio di David. Quindi la sua fine fu ignominiosa e crudele come quella del congiunto.

S. Brandon, analizzando le cause che determinarono la lapidazione di Giacomo fratello di Gesù, giunge alla conclusione che queste andavano ricercate nell'affiliazione del basso clero coi cristiano-giudei, e quindi col contagio da esso subito dallo zelotismo che alimentava le attese messianiche riguardo a Gesù (la parusia). Difatti fu proprio il basso clero a far scoppiare nel 66 d.C. la ribellione contro Roma, rifiutando di offrire nel Tempio sacrifici all'Imperatore. La lapidazione di Giacomo fu quindi voluta dall'aristocrazia sacerdotale per mantenere lo status quo, minacciato dai cristiano-giudei.  

Giacomo, il minore, fratello di Gesù


lunedì 28 maggio 2012

Il falso Jahvè. Rivalità Tempio di Gerusalemme e Santuario Bethel. 113


Ma chi era questo Dio venerato nel Regno d'Israele col nome di Baal? In base all'iscrizione che leggiamo sulla Pietra Moabita (John Rogerson in Chronicle, pagg. 101-102) possiamo dedurre che Baal era il nome israelita che corrispondeva a Jahvè. Quindi Baal e Jahvè erano lo stesso Dio con due nomi diversi.

Secondo l'iscrizione della Pietra di Moab, il re Mesa saccheggiò il tempio di Nebo e "ne prese le pietre dall'altare di Jahvè". Monte Nebo era uno dei siti religiosi più importanti d'Israele dove si venerava Baal e il re contro il quale Mesa condusse la sua campagna militare intorno all'853 a.C., era il re d'Israele Ioram, nipote di Omri. Secondo la Bibbia Ioram “rimase legato alla colpa del re Geroboamo, figlio di Nebat, che aveva fatto peccare Israele" (2 Re 3,14).

Se ne desume che in un'epoca in cui il Dio d'Israele sarebbe stato Baal, Mesa saccheggiò uno dei templi più importanti d'Israele che secondo l'iscrizione era invece dedicato a Jahvè. La stessa Bibbia conferma che i razziatori di Mesa portarono via idoli di Baal dal tempio di Nebo: “II Dio Bei [altra forma della parola Baal usata in più occasioni] è sconfitto, Nebo abbattuto, i loro idoli sono portati via su bestie da soma” (Isaia 46,1). Poiché l'iscrizione di Mesa identifica questi stessi «idoli» con le pietre dell'altare di Jahvè, allora Jahvè e Baal erano evidentemente la medesima divinità.


Paolo, mistificatore o genio religioso? (“L'invenzione del cristianesimo”) 123


Nelle pagine precedenti abbiamo dimostrato che fu Paolo il vero e unico inventore del cristianesimo quale noi oggi conosciamo. È indubbio che senza il suo geniale intervento il cristianesimo giudeo sarebbe rimasto una piccola setta fondamentalista, ancorata all'aspettativa apocalittica del ritorno di Gesù dal cielo, destinata, già con la guerra giudaica del 70, a svanire nel nulla, per cui noi oggi ignoreremo la sua esistenza e quella del suo fondatore.

Irrompendo nel cristianesimo giudaico con la sua duplice risoluzione di reinterpretare la tradizione religiosa ebraica da un lato e di aprirsi coraggiosamente verso le aspirazioni religiose del mondo pagano dall'altro, Paolo trasformò il Messia da fallito liberatore politico-nazionale d'Israele a salvatore dell'intera umanità.

Fondendo in un sincretismo geniale la religiosità ebraica con quella salvifica dei gentili, interpretò quel vago sentimento escatologico che era diffuso, trasversalmente, in tutto l'Impero, come in un immaginario collettivo.

 Questo sentimento aspirava alla trasformazione radicale del mondo sotto il livello politico, sociale e spirituale, e si rifaceva ad un Dio unico e giusto, che amasse i suoi figli senza distinzione di casta; che s'incarnasse tra gli uomini per un puro gesto d'amore, allo scopo di consentire a ciascuno di loro la salvezza; che unisse il genere umano sotto il segno della fratellanza; che restituisse dignità umana a quanti, vittime di una società schiavista, avevano dimenticato di possederne una, e che esaltasse gli umili e i mansueti.

L'aver colto questa aspirazione fu il merito supremo di Paolo, e, al di là delle sue innumerevoli mistificazioni, che hanno dato origine all'incarnazione divina di Gesù e alle sue mitologiche presunte rivelazioni, fanno di lui uno dei più grandi geni religiosi dell'umanità, al cui confronto il Gesù della storia scompare e il Cristo, quale noi oggi conosciamo dai Vangeli, è soltanto una sua creatura, il frutto del suo geniale assemblaggio teologico.

San Paolo


domenica 27 maggio 2012

Peccato e Redenzione. Gli eccessi dell'ascetismo 76


Il disprezzo del corpo, «considerao un immondezzaio, qualcosa che ti fa schifo al solo pensarci» secondo Giovanni d’Avila, dottore e santo della Chiesa, era tale che innumerevoli monaci lo trascuravano completamente, lasciandolo denutrito, sporco e irsuto. San Francesco addirittura considerava come fratelli i pidocchi, compiacendosi di averne in grande abbondanza per il corpo.

Dalle cronache del tempo sappiamo che nel Medioevo tutti si lavavano poco, ma che gli asceti erano inavvicinabili per il fetore che emanavano. Non solo loro, ma anche i grandi ecclesiastici, non si lavavano mai per non toccare le loro parti intime, da loro dette le “pudenda”, durante il bagno, e cadere in tentazione. Santa Caterina da Siena insegnava, infatti, che i lavamenti del corpo non erano propri della sposa di Cristo (il quale, durante gli amplessi mistici, doveva forse turarsi il naso). Naturalmente usavano anche poco forbici e rasoi per cui avevano l'aspetto dei nostri barboni. Tanto erano puliti e curati i pagani antichi, tanto erano sporchi e irsuti i cristiani di tendenza ascetica.

Gli storici ci raccontano che, nei primi secoli del cristianesimo, molti monaci ed eremiti che vivevano in Siria e in Mesopotamia, erano nudi o vestiti di stacci e si nutrivano esclusivamente brucando l’erba, come ci racconta lo storico Sozomeno (Storia della Chiesa 7,15). Ma ci sono testimonianze di un ascetismo inimmaginabile che ci riempiono di orrore e di ribrezzo. Ecco alcuni esempi.

Santa Margherita Alacoque, vissuta nel XVII secolo, nella sua autobiografia ci narra che, per penitenza, beveva con somma sua delizia soltanto l’acqua usata nel lavaggio dei panni sporchi, mangiava pane ammuffito e non disdegnava le feci degli ammalati di diarrea. Fu fatta santa da papa Pio IX, forse come protettrice dei coprofagi. Un’altra santa, Sant’Angela di Foligno (XIII secolo) beveva l’acqua con la quale aveva lavato i lebbrosi. Santa Caterina da Genova (XVI secolo) leccava con la sua lingua la sporcizia dagli abiti dei poveri, inghiottendo sterco e pidocchi. Più che di asceti, qui siamo di fronte a degli psicotici demenziali.


L'enigma svelato 119


Il viaggio di Paolo si protrasse più a lungo del previsto ma, di tanto in tanto, egli, tramite Rufo, riuscì a mandare anche a Giuda della scarne informazioni. Poco dopo il suo rientro ad Antiochia, però, si precipitò a Damasco. Aveva urgenza di incontrare Rufo, col quale manteneva stretti rapporti commerciai, ma soprattutto riferire a Giuda e Davide le sue nuove esperienze missionarie.
"È stato un viaggio lungo, estenuante, pieno di peripezie, di pericoli e di scontri" esordì davanti a Giuda e Davide che l'ascoltavano col massimo interesse. "Ho rivisitato le vecchie chiese, istituite durante il primo viaggio, rinsaldando la loro fede, poi, seguendo le mie ispirazioni divine ho raggiunto la Macedonia e la Grecia, soggiornando a Filippi, Tessalonica, Atene e Corinto. Ovunque, appena giunto, mi presentavo nelle sinagoghe ad annunciare il ritorno del Risorto e l'inizio della nuova era messianica ma ero sempre respinto dai miei correligionari con l'accusa di seminare discordie e di contravvenire agli editti dell'Imperatore. Per salvarmi sono stato costretto a fughe precipitose. Sono stato anche imprigionato per lunghi periodi. Alla fine, stanco di subire continue contestazioni e improperi dai giudei, scuotendomi le vesti ho gridato loro: Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente. Da ora in poi mi rivolgerò soltanto ai gentili. E così ho fatto, trovandoli molto più disponibili e ricettivi ad accogliere la parusia. Con loro ho creato molte comunità di credenti a capo delle quali ho posto dei diaconi, che sovrintendano all'assistenza dei bisognosi, dei presbiteri e dei vescovi per il controllo della condotta morale e dell'ortodossia dei credenti".
"E l'osservanza della Legge e la circoncisione imposte da Gerusalemme?" chiese Davide.
"Seguendo il tuo consiglio, le ho buttate alle ortiche".
"E il messianismo?"
"Altrettanto. Il mio Gesù è un Cristo demessianizzato e degiudeizzato".
"Una gran bella rivoluzione!" esclamò Davide.
"Per i gentili che vogliono farsi cristiani due sono i requisiti fondamentali che io impongo: una rigida condotta morale e la fede cieca in Gesù Cristo" spiegò Paolo. "Il resto: la circoncisione, l'osservanza della Legge e delle sue prescrizioni non servono a niente".


n nomine Domini 16


Durante il ritorno, la Senatrice, molto favorevolmente colpita dall'atteggiamento riservato e rispettoso di Simone, lo interrogò con discrezione sullo strano comportamento di Teocrazio e venne così a conoscere la stravagante e sotto certi aspetti incredibile storia di quel personaggio.
Simone spiegò che al suo arrivo nel monastero, circa un decennio prima, questo era veramente un luogo di austerità e di preghiera e non esisteva il reparto delle monache e dei trovatelli. Teocrazio vi giunse poco dopo, raccomandato dal vescovo Damazio che lo aveva ordinato diacono, e subito si fece notare per la sua straripante facondia che dava l'impressione di una vasta e solida cultura. Il suo comportamento all'inizio fu estremamente corretto e destò una benevola impressione. Ma, a poco a poco, tutti si accorsero che sotto la sua parlantina sciolta e accattivante c'era il vuoto assoluto. Infatti era completamente analfabeta e, all'infuori delle preghiere più elementari, non aveva alcuna preparazione religiosa e celebrava i riti sacramentali in modo stravagante e biascicando formule incomprensibili. Cominciò ben presto ad assentarsi dal monastero per scopi apostolici, come dava ad intendere. Invece si recava nei villaggi vicini a predicare agli abitanti, con toni apocalittici, terribili castighi divini se al monastero non venivano offerte le primizie dei raccolti e il bestiame più scelto. Cominciarono così ad arrivare offerte di ogni genere portate da contadini terrorizzati: frutta, verdura, cereali, pollame, pecore, capre e maiali. La vita dei monaci, imperniata sulla preghiera, la penitenza e il digiuno, ne fu sconvolta. I più austeri e rigorosi di essi tentarono, invano, di ribellarsi, poi decisero di abbandonare il monastero. Ma furono subito rimpiazzati da monacastri reclutati da Teocrazio, per zelo missionario, come diceva lui. Nel giro di qualche anno il monastero divenne irriconoscibile. Ormai Teocrazio dominava su tutto e su tutti. Arrivò a vantarsi di essere di origine nobile e affermare che il suo nome discendeva da un'antica casata patrizia. In realtà se l'era inventato lui. Non tardò a farsi strada la verità sul suo conto e si venne così a sapere che era il figlio di un porcaio del luogo il quale, trovandolo insofferente al lavoro dei campi, lo aveva messo al servizio del vescovo Damazio finché costui, non potendone più delle sue angherie, lo aveva scaricato ordinandolo diacono.
Le cose precipitarono quando nel monastero giunsero delle ragazze incinte che erano state cacciate, per vergogna, dai loro genitori. Teocrazio, che forse le aveva segretamente contattate, col pretesto che il Vangelo predicava di soccorrere i bisognosi, le accolse premuroso e le ospitò in un'ala del monastero resasi libera per l'abbandono dei monaci. Le avrebbe redente, spiegò a quanti erano titubanti per quell'iniziativa. I monacastri reclutati da Teocrazio non tardarono a fraternizzare con le giovani. Fu allora che anche Simone il Siriano, seguito dagli ultimi vecchi monaci rimasti, si allontanò del monastero, nonostante le minacce di Teocrazio, che non accettava di buon grado la loro defezione.
Rimasto assoluto padrone del campo, senza più controlli e critiche, Teocrazio completò la sua opera trasformando il monastero in un autentico lupanare. Allo scopo stipulò un patto con una certa Sigonia, detta la Monachessa, tenutaria del più importante bordello di Roma, mediante il quale le meretrici che lavoravano da costei, rimaste incinte, venivano ospitate nel monastero per sgravarsi e poi poter riprendere il loro mestiere. L'amicizia con Sigonia, donna potentissima a Roma perché amica dei nobili e dell'alto clero, garantì a Teocrazio la più grande protezione e la massima impunità.
Il buon Simone, che non conosceva la dama che l'ospitava nella sua carrozza, concluse il suo discorso dicendo che ormai la Chiesa era giunta alla completa perdizione a causa della corruzione del papato e dell'alto clero. Marozia, alla quale il monachello era risultato subito simpatico, alla conclusione delle sue parole annuì con un sorriso malizioso.

Ario


Ario


Ario



sabato 26 maggio 2012

Il falso Jahvè. Rivalità Tempio di Gerusalemme e Santuario Bethel. 112


Ciò premesso, di che cosa il Regno d'Israele veniva accusato dai giudei? Fondamentalmente, di avere sostituito il culto di Jahvè con quello del Dio Baal. Tradizionalmente i biblisti interpretano Baal come una divinità fenicia, introdotta intorno all'870 a.C. in Israele dalla moglie fenicia di re Acab, Gezabele, (D. Williams, New Concise Bible Dictionary, pag. 47).

Il riferimento diretto al culto di Baal collegato al Regno d'Israele lo troviamo nel Libro Primo dei Re: "Commise [Acab] più colpe di Geroboamo, figlio di Nebat. Sposò Gezabele [...] adorò il Dio Baal, si inchinò davanti a lui" (I Re 16,31).

In realtà non fu Gezabele a introdurre in Israele il culto di Baal, ma lo stesso Geroboamo, come ricaviamo dalla Bibbia, che ogni qualvolta descrive un re che segue questo culto recita testualmente: "seguendo le orme di Geroboamo". Nonostante le affermazioni dei biblisti, l'archeologia non ha mai portato alla luce alcuna testimonianza che i fenici avessero avuto un Dio chiamato Baal.

I fenici veneravano tutto un pantheon di divinità, ma in nessuna delle loro iscrizioni o dei loro testi, che sopravvivono numerosi, troviamo che si parli di un Dio con questo nome, o con un nome simile.

E allora? Baal non è un termine fenicio, bensì ebraico. Significa "signore" ed è molto usato nella Bibbia sia riferito ai nomi di persona, come Baal-Hanan (Signor Hanan, un re di Edom), sia nei toponimi. Un esempio: Beth-Baal-Meon la "casa del signore Meon". Baal, cioè "signore" non era un nome proprio ma soltanto un titolo onorifico riferito alle persone importanti e soprattutto alla divinità. (Francis Brown, Hebrew and the English Lexicon of the Old Testament).

Gezabele regina d'Israele


Paolo, mistificatore o genio religioso? (“L'invenzione del cristianesimo”) 123


Nelle pagine precedenti abbiamo dimostrato che fu Paolo il vero e unico inventore del cristianesimo quale noi oggi conosciamo. È indubbio che senza il suo geniale intervento il cristianesimo giudeo sarebbe rimasto una piccola setta fondamentalista, ancorata all'aspettativa apocalittica del ritorno di Gesù dal cielo, destinata, già con la guerra giudaica del 70, a svanire nel nulla, per cui noi oggi ignoreremo la sua esistenza e quella del suo fondatore.

Irrompendo nel cristianesimo giudaico con la sua duplice risoluzione di reinterpretare la tradizione religiosa ebraica da un lato e di aprirsi coraggiosamente verso le aspirazioni religiose del mondo pagano dall'altro, Paolo trasformò il Messia da fallito liberatore politico-nazionale d'Israele a salvatore dell'intera umanità.

Fondendo in un sincretismo geniale la religiosità ebraica con quella salvifica dei gentili, interpretò quel vago sentimento escatologico che era diffuso, trasversalmente, in tutto l'Impero, come in un immaginario collettivo

. Questo sentimento aspirava alla trasformazione radicale del mondo sotto il livello politico, sociale e spirituale, e si rifaceva ad un Dio unico e giusto, che amasse i suoi figli senza distinzione di casta; che s'incarnasse tra gli uomini per un puro gesto d'amore, allo scopo di consentire a ciascuno di loro la salvezza; che unisse il genere umano sotto il segno della fratellanza; che restituisse dignità umana a quanti, vittime di una società schiavista, avevano dimenticato di possederne una, e che esaltasse gli umili e i mansueti.

L'aver colto questa aspirazione fu il merito supremo di Paolo, e, al di là delle sue innumerevoli mistificazioni, che hanno dato origine all'incarnazione divina di Gesù e alle sue mitologiche presunte rivelazioni, fanno di lui uno dei più grandi geni religiosi dell'umanità, al cui confronto il Gesù della storia scompare e il Cristo, quale noi oggi conosciamo dai Vangeli, è soltanto una sua creatura, il frutto del suo geniale assemblaggio teologico.

venerdì 25 maggio 2012

Bill Gates ha cambiato il nostro modo di lavorare, Melinda Gates, sua moglie, cambierà il nostro modo di procreare.


Lo sperano milioni di donne in tutto il mondo, in barba alla Chiesa sessuofoba.. Bill Gates, presidente e amministratore delegato della Microsoft, e sua moglie Melinda, nel 1999 hanno fondato la Gates Foundation, l’organizzazione filantropica più grande del mondo che si propone, tra le altre cose, di dare accesso alla contraccezione a 120 milioni di donne entro il 2020.

Da Seattle, ove ha sede la Fondazione, Melinda Gates ha annunciato il nuovo programma sulla contraccezione. A luglio partirà la collaborazione con il governo britannico per co-finanziare un summit mondiale e avviare la raccolta di 4 miliardi di $ per consentire l’individuazione di metodi contraccettivi innovativi.

Attualmente la Fondazione sta finanziando una ricerca sui contraccettivi che le donne possono iniettarsi da sole (su modello del DepoProvera, farmaco che si inietta 4 volte all’anno). Una idea “pazza”  è quella di creare un dispositivo impiantabile controllato in tutta autonomia dalla donna stessa. Qualcosa in grado di durare per tutta l’intera vita riproduttiva.  In pratica un dispositivo che la donna possa attivare e disattivare a piacere e che non necessita di essere rimosso.

Sarebbe l'arma più potente per evitare maternità indesiderate, prevenire seriamente l'aborto e porre un freno all'esplosione demografica che minaccia il mondo. Ma anche lo strumento che concederebbe alla donna la sicura libertà sessuale. Melinda Gates è cattolica, ma è da sempre in disaccordo con la posizione della Chiesa sulla contraccezione. È stata attaccata fortemente per il suo lavoro dalla rivista Catholic Herald.

La Chiesa, infatti, totalmente dominata dalla sessuofobia, non può ammettere la libertà sessuale perché ciò significherebbe la fine del suo dominio. Le persone sessualmente appagate e liberate dalla psicosi ossessiva del sesso, si sottraggono spontaneamente al controllo della Chiesa. 

Tutta la morale della Chiesa infatti ruota intorno al sesso con annessi e connessi: matrimonio, aborto, omosessualità, divorzio, autoerotismo, pacs, inseminazione artificiale, contraccezione, pillola abortiva e del giorno dopo e così via. Tutto da controllare rigorosamente e da vietare il più possibile, magari per legge dello Stato su pressione della Chiesa In Italia ne sappiamo qualcosa a causa della nostra corrotta casta politica bypartisan che sta vendendo tutti I nostri diritti civili al Vaticano.

Melinda Gates per realizzare la sua campagna pro-life altamente morale in quanto attua una vera prevenzione dell'aborto, non avrà vita facile stante la feroce opposizione sessuofobica della gerarchia ecclesiastica e delle frange cattoliche più tradizionaliste, ma potrà fare affidamento su quella gran parte della popolazione laica e progressista, che fortunatamente è in continuo aumento, e sulle molte donne cattoliche, soprattutto americane, che fregandosene altamente della Chiesa usano serenamente i contraccettivi.





Melinda Gates e il marito


Il papato fu istituito nel V secolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 122


Solo nel V secolo un decreto di Papa Gelasio I, inteso a stabilire l'autenticità dei 27 testi del Nuovo Testamento, decretò anche l'istituzione del primato papale su tutti i vescovi della cristianità, basandosi sul passo di Matteo: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa.... Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli" (Matteo 16,18-19). 


Ma questo è un altro clamoroso falso, come tanti altri passi, aggiunto al Vangelo di Matteo dopo il III  secolo, quando Tertulliano elaborò il concetto di Chiesa,  travasando in questa istituzione  l’intero edificio giuridico romano. Al tempo di Matteo, ovviamente, nessuno era a conoscenza di questa istituzione non ancora inventata. 


Quindi l'istituzione del papato non deriva da questo passo del Vangelo di Matteo, unico dei Sinottici a riportarlo, quantunque anche Marco e Luca narrino la medesima scena (Marco 8:27-30 e Luca 9:18) . Se fosse vero che  Gesù intendeva fare di Pietro "il primo papa", ci sarebbe almeno qualche allusione negli Atti degli Apostoli, nelle Lettere di Paolo, o nel resto del Nuovo Testamento. 


Invece in questi testi non risulta nemmeno una sola volta  che Pietro abbia esercitato nella Chiesa primitiva una funzione di comando. Anzi, quando si riunisce il primo Concilio a Gerusalemme, questo viene presieduto da Giacomo, uno dei fratelli di Gesù, e non da Pietro, che pure era presente.  Solo  con Gelasio I si può, quindi, ipotizzare l'istituzione del papato.


Il termine papa (padre), inizialmente titolo onorifico di tutti i vescovi per parecchi secoli, solo con l’inizio del secondo millennio diventò prerogativa esclusiva del vescovo di Roma.

Papa Gelasio I


giovedì 24 maggio 2012

Peccato e Redenzione. Gli eccessi dell'ascetismo 75


A causa di Paolo e dei Padri della Chiesa fino a tutto il Medioevo, la fuga dal mondo, l’astinenza, la rinuncia ai sensi e alla corporeità, la mortificazione più ossessiva, una vita ininterrotta di penitenza e di pensieri fissati sul mea culpa, erano l’imperativo categorico non solo di molti ecclesiastici ma anche del popolino più minuto.

San Basilio, dottore della Chiesa, proibiva ai cristiani qualsiasi divertimento, anzi persino il riso e le gioie più innocenti della vita. San Gregorio di Nissa paragonava l’intera esistenza umana ad un “letamaio” e considerava peccaminoso anche odorare il profumo di un fiore o contemplare la bellezza di un tramonto.

Per tutto il Medioevo cristiano l’ideale più elevato, inteso come precetto divino, era un’esistenza ostile al corpo e agli istinti naturali, anche più comuni e sani, come il nutrirsi e le pratiche di erotismo.

Mentre era considerato santo ciò che patologicamente rinnegava ogni forma di piacere: l’astinenza, i lunghi digiuni, i torrenti di lacrime, la sporcizia, la veglia forzata, e tutti gli eccessi masochistici della fustigazione. In altre parole: la rinuncia totale ad ogni gioia di vivere e la demonizzazione del corpo. Per molti storici l’Europa medievale assomigliava quasi a un enorme manicomio.

San Basilio


Pietro non fu mai a Roma (“L'invenzione del cristianesimo”) 121


La Chiesa adduce a prova del martirio di Pietro e Paolo la persecuzione subita dai cristiani nell'anno 64 da parte di Nerone in seguito all'incendio di Roma. Ma di questo martirio non c'è traccia in nessun documento storico e nemmeno ecclesiastico del primo secolo.

Secondo l'abate cattolico francese Louis Duchesne, autore di una monumentale e rigorosa storia della Chiesa (L.Duchesne, Histoire ancienne de l'Eglise, Paris, Fontemoing, 1911) e di un Liber Pontificalis, ricavati dagli archivi del Vaticano, che ricostruiscono con grande rigore storico la genealogia dei pontefici, i primi nove vescovi di Roma, compreso lo stesso Pietro, erano da togliere perché mai esistiti (L.Duchesne, Liber Pontificalis, t. I-Il, Parigi 1886-1892. Riedizione con un terzo tomo di C. Vogel, Parigi 1955-1957).

Infatti, la carica episcopale monarchica si impose a Roma soltanto verso la metà del II secolo e per molto tempo tutti i vescovi furono considerati alla pari e nessuno di loro godette di uno stato privilegiato rispetto agli altri. Per Cipriano, Padre della Chiesa, non esisteva un vescovo dei vescovi, poiché nessuno poteva costringere all’obbedienza con autorità tirannica i propri confratelli.

Solo nel III secolo, ad imitazione dell’amministrazione imperiale romana, i vescovi dei capoluoghi delle province acquisirono il controllo dell'intera loro regione e furono chiamati metropoliti. I metropoliti erano quattro: quello di Alessandria che controllava l'Egitto, quello di Antiochia che guidava l'episcopato siriaco, quello di Cartagine che sovrintendeva all'episcopato dell'Africa del nord, e, infine, quello romano che vigilava sulla Chiesa italiana ma non sul resto dell’Occidente. I vescovi di Roma nei primi secoli non si interessarono mai della presunta introduzione del Primato di Pietro.

L. Duchesne


mercoledì 23 maggio 2012

Il falso Jahvè. Rivalità tra i regni di Giuda e d'Israele. 111


A seguito dello scisma politico-religioso tra i regni di Giuda e d'Israele, i due popoli presero a odiarsi a morte, e il Regno d'Israele fu considerato dai giudei una nazione di idolatri. Si era probabilmente creato tra le due fazioni lo stesso clima che s'instaurò tra la Chiesa Cattolica e quella Protestante al tempo della Riforma di Lutero.

Entrambe le Chiese veneravano lo stesso Dio e si basavano sugli stessi testi canonici, ma si consideravano reciprocamente eretiche ed espressioni dell'Anticristo. Dobbiamo inoltre tenere presente che coloro che compilarono l'Antico Testamento erano scribi del Regno di Giuda e che a quel tempo Israele era già stato distrutto dagli Assiri e aveva cessato di esistere e, infine, che c'era stata la restaurazione fondamentalista del re Giosia, il probabile inventore del Deuteronomio, che aveva dato una diversa interpretazione della religione ebraica.

Quindi la Bibbia è la versione giudea degli avvenimenti, cioè della parte vincente. E come si sa, la storia è sempre scritta dai vincitori. Se fosse sopravvissuto il Regno d'Israele e avesse compilato l'Antico Testamento, probabilmente avremmo una versione completamente opposta dei fatti.

Re Giosia


Pietro non fu mai a Roma (“L'invenzione del cristianesimo”) 120


Un gran numero di storici e di teologi ha negato, quindi, tout court, la presenza di Pietro a Roma. Uno di essi, il teologo K. Heussi, già nel 1936, dopo accurate analisi dei testi antichi, l'aveva esclusa categoricamente. (K.Heussi, Die roimische Petrustradition. in Theol. Literaturzeitung, 1959, nr. 5, 359 sgg.).

Più recentemente lo storico Michael Grant (M. Grant, Saint Peter, Penguin Books, London, 1994) ha messo in evidenza che ci sono otto incontrovertibili motivi che negano sia la presenza romana di Pietro, sia il suo presunto status di vescovo della città. Uno di questi è che se Pietro si fosse trovato a Roma all'arrivo di Paolo (o che fosse ancora vivo il ricordo di una sua precedente venuta), Luca ne avrebbe sicuramente data menzione nell'ultimo capitolo degli Atti, come aveva menzionato gli altri incontri tra i due a Gerusalemme e ad Antiochia.

Anche il presunto ritrovamento del sepolcro di San Pietro, inteso come prova archeologica della sua sepoltura, è stato più volte annunciato e altrettante volte smentito, perché di esso non è stata trovata una traccia sicura. Quindi, la presenza a Roma e la cattedra pontificia di Pietro costituiscono uno dei falsi più vistosi della Chiesa, finalizzato a suffragare il dogma dell’episcopato universale del vescovo di Roma. Pietro quindi non fu né il primo vescovo di una presunta successione apostolica né, tanto meno, il primo papa.


martedì 22 maggio 2012

A proposito di statistiche.


L’Annuario Pontificio del Vaticano rileva che in Italia i cattolici sono addirittura il 96,55% della popolazione (57.665.000 battezzati su 59.725.000 abitanti). Dimentica però di specificare che non tutti i battezzati sono rimasti cattolici. Molti, anzi moltissimi di loro, in un modo o nell'altro, si sono staccati dalla Chiesa. Per capirlo, però, dobbiamo riferirci ai rilevamenti demoscopici.

Eccone alcuni. L'Eurispes ci rileva che mentre nel 2006 l'87,8% degli Italiani si professava cattolico e il 29% praticante, nel 2010 queste percentuali erano scese al 76,5% al 24,4%.

Il Censis a sua volta rileva che nel 2011 solo il 65,6% affermava di credere in Dio e, sempre nel 2011, il Norc Institute della University of Chicago riduceva al 41% gli Italiani credenti senza esitazione. Tutte cifre molto lontane da quel 96,55% di “cattolici” secondo l’Annuario Pontificio Vaticano. Il Censis nella ricerca “I miti che non funzionano più” del 28 giugno 2011, constata il declino della religiosità e e della sua pratica nel quotidiano e scrive: “E’ chiara l’impossibilità per i sacerdoti di incidere su processi di scelta individuale ormai massificati, così come del resto stentano a fronteggiare le ondate di secolarizzazione nella quotidianità, l’estraneizzazione dalla religiosità e dai luoghi di culto”.

La partecipazione ai riti religiosi è un altro indicatore molto importante della religiosità di una società. Una ricerca molto interessante a questo proposito è stata fatta dai professori Massimo Introvigne e PierLuigi Zoccatelli, del Centro Studi sulle Nuove Religioni, entrambi cattolici impegnati.

I due studiosi,coadiuvati da circa 200 volontari, hanno svolto un’indagine nella diocesi di Piazza Armerina, in Sicilia, che conta circa 220 mila abitanti, rilevando che le presenze e le comunioni nelle 320 messe celebrate in tutta la diocesi arrivavano ad interessare appena al 18,5% della popolazione, in conformità alla percentuale rilevata dal Censis a livello nazionale.

Un altro dato importante della religiosità in calo è la percentuale di matrimoni religiosi ai quali la Chiesa tiene talmente tanto da considerare scomunicati (quindi esclusi dai sacramenti) tutti i cattolici che sono al di fuori di essi (sposati civilmente, divorziati, conviventi ecc....). In questo caso le cifre dell’Istat non lasciano spazio ad interpretazioni. Nel 2005 su 100 matrimoni 67,2% erano religiosi, nel 2006 questa percentuale è scesa al 66,0%, nel 2007 al 65,4%, nel 2008 al 63,2% e nel 2009 al 62,8%. Ma nel 2012 in molte regioni i matrimoni civili superano quelli religiosi senza contare le unioni di fatto che sono oltre un milione. Un tracollo.  

Tutti costoro, la grande maggioranza quindi, sono fuori della Chiesa e cattolici per modo di dire. Altre percentuali confermano la secolarizzazione galoppante e fanno emergere un Paese sempre più indipendente dalla dottrina della Chiesa.

L’Eurispes ha pubblicato lo scorso gennaio il “Rapporto Italia 2012” dal quale emerge che il 65,8% degli italiani è favorevole all’istituzione del testamento biologico, il 58% approva l’introduzione della pillola abortiva Ru486, e una maggioranza plebiscitaria, l’82,2% chiede l'introduzione del divorzio breve. Tutte richieste in aperto contrasto con quanto ci impone il Vaticano ma che i nostri politici codardi e asserviti fingono di non vedere.

Il falso della seconda Lettera di Pietro (“L'invenzione del cristianesimo”) 119


Coloro che sostengono che tra i due apostoli c'era un accordo amorevole potrebbero invocare, a loro sostegno, la Seconda Lettera di Pietro nelle quale l'apostolo nomina Paolo come un carissimo fratello (2 Pietro 3,15-16).

Ebbene, questa lettera è universalmente ritenuta un falso, e la stessa CEI, nella versione della Bibbia del 1989, la riconosce come tale, definendola un artificio letterario. Il suo autore l'avrebbe composta un secolo dopo la morte dell’apostolo e avrebbe preso in prestito il nome di Pietro per conferire allo scritto una più elevata dignità.

Concludendo: non troviamo un documento, databile al primo secolo, che attesti il legame tra i due apostoli; solo la tradizione inattendibile, perché inventata, come tante altre, dai Padri della Chiesa, lo ha sostenuto con ostinazione.

Altra cosa incredibile: né Paolo, che scrisse da Roma le sue ultime lettere citando i nomi di molti dei suoi collaboratori, né gli Atti degli Apostoli, che arrivano fini al 62, accennano mai alla presenza a Roma di Pietro. Anche gli scritti cristiani fino alla metà del II secolo ignorano la questione.

Infatti, il viaggio di san Pietro a Roma e la sua disputa con Simon Mago, la sua crocifissione ed altri episodi a lui riferiti, sono narrati esclusivamente in libri dichiarati apocrifi dalla Chiesa stessa, come gli Acta Petri.



Acta Petri


lunedì 21 maggio 2012

Il falso Jahvè. Rivalità Tempio di Gerusalemme e Santuario Bethel. 110


Osea, altro profeta di Giuda, circa venti anni prima, al tempo cioè in cui gli assiri stavano occupando Israele, interpretò l'invasione assira come una punizione divina perché gli israeliti veneravano Dio a Bethel. Lo stesso dicasi del profeta Geremia, il presunto autore dei due libri dei Re. Vedremo in seguito che il tempio di Bethel fu distrutto con estrema ferocia da Giosia, intorno al 630 a.C., dopo che Israele ebbe cessato di esistere.

La Bibbia, che ci consente di individuare molti antichi luoghi legati al culto perché dà di essi dei punti di riferimento, non ci permette di localizzare in nessun modo il sito dell'antica Bethel. Si può dedurre che gli scribi giudei, a causa del loro odio verso quest'antico santuario che si opponeva al Tempio di Gerusalemme, abbiano voluto che di esso non rimanesse alcuna traccia che servisse a localizzarlo.

Secondo il profeta Geremia, che predicò negli anni immediatamente precedenti la conquista babilonese, Bethel e le bomath d'Israele erano stati tutti dedicati a Baal. Il Libro secondo dei Re, nel descrivere le attività religiose del Regno del Nord, condanna senza appello Geroboamo e i suoi successori per avere allontanato il popolo dal Tempio di Gerusalemme e per aver adorato Baal in un santuario idolatrico.

Ma tutto ciò corrisponde a verità, oppure fu dovuto all'influenza esercitata dalla nuova teologia sorta in seguito alla scoperta, al tempo di re Giosia, del Deuteronomio, libro attribuito a Mosè e ispiratore dell'intera Bibbia? Prima di rispondere a questa domanda bisogna fare una premessa importante.

Osea profeta


Pietro e Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 118


Né gli evangelisti, né Paolo, né tanto meno gli apocrifi parlano favorevolmente di Pietro. Nella prima parte degli Atti si tratta diffusamente di lui, ma in modo leggendario per cui la sua persona storica ci risulta completamente sconosciuta, come del resto anche quella di molti altri apostoli. 

Forse Pietro guidò inizialmente la nuova setta della Via (1 Cor. 15,7; Atti, 1,14)), ma quando Giacomo, fratello di Gesù, giunse dalla Galilea per unirsi agli altri apostoli che attendevano il ritorno del Risorto, costui ne divenne il capo incontrastato e Pietro passò in secondo piano. Infatti di Pietro non si accenna più negli Atti a partire dalla metà del libro, mentre si continua a parlare di Giacomo che fino al 63 fu il capo incontrastato della Chiesa di Gerusalemme.

La tradizione cattolica, che poggia le sue basi soprattutto sulla Patristica, ci ha fatto credere che tra Pietro e Paolo ci siano stati sempre dei i rapporti assidui e di stretta collaborazione. Ma leggendo le Lettere e gli Atti, gli unici documenti che possono testimoniare la verità, ciò non risulta affatto. Gli incontri (o meglio gli scontri) tra Paolo e gli apostoli a Gerusalemme sono stati rarissimi, non più di quattro, come abbiamo narrato in precedenza, e sempre caratterizzati da ambiguità e da diffidenze reciproche.

Con Pietro, comunque, c'era stato un altro incontro ad Antiochia. Ma quello di Antiochia fu un vero e proprio scontro durante il quale Paolo accusò Pietro e Barnaba di ipocrisia e segnò l'inizio di un contrasto che si rivelò subito duro e insanabile e che fece perdere a Pietro la faccia in quanto fu costretto a sottostare alle disposizioni impartite da Giacomo (il vero primo degli apostoli).

Come si vede, incontri brevissimi, quasi sempre burrascosi per non dire drammatici. Nell'ultimo incontro, durante il quale Paolo rischiò il linciaggio, Pietro non viene mai nominato, forse perché già morto. Gli Atti tentano di occultare questo enorme e inconciliabile conflitto tra i due apostoli e la Patristica poi li ha falsamente accomunati nel martirio a Roma sotto Nerone. La Chiesa, infine, li ha santificati nello stesso giorno, avvallando la tesi che i due hanno sempre agito in perfetta armonia.

Santi Pietro e Paolo


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)