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martedì 22 marzo 2011

La cittadinanza del crocifisso nelle aule? Una vittoria di Pirro per la Chiesa. Una debacle per l'Europa laica.

La sentenza di Strasburgo induce ad alcune riflessioni. Anzitutto la Grande Camera ha giudicato il crocifisso talmente insignificante che non può fare né male né bene. È chiaro che questa insignificanza riduce il crocifisso a «simbolo passivo» che non ha forza di «indottrinamento» e lo derubrica a simbolo meramente culturale, oltre tutto imposto nel nostro Paese in base a una circolare del periodo fascista.

Secondo me ciò rappresenta per le gerarchie cattoliche una vittoria di Pirro e ci fa conoscere la povertà di spirito di una Chiesa ridotta a ripiegare su questo argomento, quando il crocifisso è esattamente il simbolo della sua dottrina.

In secondo luogo la corale esultanza per questa sentenza gesuitica e confessionale da parte della quasi totalità della classe politica italiana, codarda e genuflessa, ci fa comprendere quanti anni luce essa sia lontana dai padri risorgimentali che hanno fatto l'Italia sognandola laica e non più offuscata dall'oscurantismo cattolico.

In terzo luogo va denunciato il comportamento fraudolento del governo italiano che per ottenere un pronunciamento favorevole ha garantito ai giudici di Strasburgo che nelle scuole pubbliche italiane sono rispettate tutte le religioni, persino che si può portare il velo e festeggiare il Ramadan. Argomenti sul pluralismo che non corrispondono alla pratica che conosciamo e che la Grand Chambre, che non aspirava ad altro che a crederli, se li è fatti andare bene.

Infine, a commentare in tutta la gravità la sentenza di Strasburgo ecco la dichiarazione di Soile Tuulikki Lautsi, protagonista della denuncia: «In 28 anni di permanenza in Italia, mi sono sentita oppressa da una religione cattolica che entra in casa e pervade i programmi televisivi per condizionare ogni messaggio educativo». E si è detta tentata dal desiderio di andarsene coi suoi figli, per vivere da persone libere in un altro Paese, dove la diversità sia riconosciuta come un valore.

E concludo citando Walter Peruzzi (Cronache laiche 19 marzo): “Di fronte a una religione fondamentalista come il cattolicesimo, che pretende di imporsi a chi la rifiuta, un atteggiamento “laico” non basta.

"E’ necessario entrare nel merito, combattere la dottrina cattolica come tale, mostrandone la falsità e l’immoralità; screditare le fiabe che contrabbanda per dogmi; spiegare che essa è per un decimo luoghi comuni penosi, e per i nove decimi un insieme di norme spesso contrarie ai diritti umani, che la storia della Chiesa è un’ininterrotta serie di ribalderie.

"Occorre anche demitizzare la figura-rifugio del Cristo, modesto rivoluzionario di altri tempi, trasfigurato dalla Chiesa in un ciarlatano pericoloso, che vende fumo ai poveri per “sistemare la casa” (come disse acutamente Agostino) ai ricchi.

"Occorre demistificare e screditare il cattolicesimo perché, in Italia e in Europa, molto difficilmente ci saranno giudici disposti a portare fino in fondo una lotta per la laicità delle istituzioni, finché la Chiesa cattolica non sarà stata emarginata. Non c’è laicità senza scattolicizzazione".

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)