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sabato 8 dicembre 2012

Il falso Jahvè. La setta dei nazirei. 190


Ma proprio nel momento del massimo sconforto, quando tutto sembrava definitivamente perduto, ecco arrivare nel rifugio segreto in cui si erano rintanati gli apostoli nell'attesa di rientrare alla chetichella in Galilea, la Maddalena, la pasionaria del gruppo (ma anche, secondo i Vangeli apocrifi, la consorte di Gesù), ad annunciarne in preda a vivissima agitazione la sparizione del suo cadavere. Galvanizzati da quella folgorante e inaspettata notizia, i discepoli si convinsero che Gesù era risorto, e in seguito della sua resurrezione, non era più il Messia fallito come avevano creduto dopo la sua crocifissione, bensì il Messia Martirizzato, il Figlio dell'Uomo assiso alla destra del Padre, come profetizzato da Daniele; si convinsero dunque che sarebbe tornato ben presto sulle nuvole per attuare la redenzione d'Israele e ricostruire l'antico regno davidico.

Nacque così il movimento cristiano imperniato sulla "parusia", vale a dire sul ritorno imminente del Risorto. Questo movimento non era inteso come una nuova religione, ma come una setta giudaica che integrava in senso messianico l'ebraismo (M.Simon e A.Benoît, Giudaismo e cristianesimo, Laterza, Bari 1985 e 1991). Questo secondo Gesù, inventato dalla Maddalena e documentato nella prima parte negli Atti degli Apostoli, rimarrà a fondamento della Chiesa di Gerusalemme. Sarà anche il punto di partenza per Paolo, il quale basava tutto il suo primo apostolato sull'attesa spasmodica della parusia, considerata da lui imminente (1 Tessalonicesi 4,16).

La setta nata da questo movimento fu chiamata dei "nazirei" (Atti, 24,5), termine questo che non ha niente a che vedere con la presunta città di Nazaret ma che deriva dall’antica istituzione ebraica del nazireato. Era diretta da dodici anziani, similmente alla comunità essenza da cui discendeva, e dai familiari di Gesù tra i quali spiccava, per il suo grande attaccamento alla Legge e alle tradizioni ebraiche, il fratello di Gesù, Giacomo, detto anche il Giusto. I nazirei s'incontravano ogni giorno nel Tempio a pregare e poi si riunivano in casa di uno di loro per adempiere al rito esseno della frazione del pane. "Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore" (Atti 2,46).

Giacomo, che forse era un sacerdote esseno (sia Egesippo, sia Epifanio, Padri della Chiesa, gli attribuirono il duplice potere regale e sacerdotale), benediceva il pane e lo distribuiva ai presenti (Atti 2,46). Questa agape fraterna, come leggiamo negli Atti, non aveva niente a che vedere con la cerimonia eucaristica inventata successivamente da Paolo di Tarso in seguito a una sua presunta visione celeste (1 Corinzi 11,23-27). Ai cristiano-giudei sarebbe parso sacrilego ed empio collegare, sia pure simbolicamente, questo rito fraterno al corpo e al sangue di Cristo.

Seguendo le regole ascetiche della comunità qumraniana, vivevano in lieta povertà, mettendo in comune i beni di cui disponevano, soccorrendo gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e nei loro bisogni materiali, e predicando l'imminente ritorno di Gesù dal cielo.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)