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lunedì 31 dicembre 2012

In nomine Domini 46


"Questo è un piccolo paradiso terrestre", esclamò Simone appena sceso dalla carrozza, mirando sbalordito il rigoglio di colori che l'orto di Ascanio mostrava ai suoi occhi. E nonostante la gran fatica che gli costava il camminare, volle percorrere per un po' il lungo viale alberato che si apriva davanti alla modesta casa del diacono.
"In pochi giorni, vivendo all'aperto ed esercitandoti nella deambulazione", fece Ascanio, "riacquisterai un po' della tua vecchia elasticità e il giardino sarà tutto tuo. Potrai anche, se lo vorrai, cogliere qualche ortaggio e qualche frutto. Per il momento è meglio che non ti affatichi troppo. Sediamoci quindi un po' al sole a riscaldare le nostre vecchie ossa".
La fantesca, ormai anch'essa avanti negli anni, aiutata da Beda portò nel punto più accogliente del giardino una vecchia panca che giaceva inutilizzata nella stalla.
"Per ora accontentiamoci di questa sistemazione provvisoria", fece Ascanio, invitando Simone e Adeodato a sedersi. "Fra poco Beda sistemerà le cose in modo che ognuno di noi abbia, qui nel giardino, un suo piccolo tavolo con sedia, per potersi dedicare ai suoi ozi preferiti".
Anche le due camerette per la notte furono subito apprestate alla meglio. Ma quello che sorprese e meravigliò sia Simone sia Adeodato fu la scoperta dello studiolo del diacono, interamente rivestito alle pareti da scaffali zeppi di codici. Rimasero per un bel po' muti e assorti per la meraviglia davanti all'incredibile spettacolo che si presentava ai loro occhi. Non avevano mai visto una raccolta così ricca di testi latini e greci, comprendenti tutte le epoche del passato, e avevano la sensazione di essere entrati in un piccolo tempio del sapere.
"Quale immane fatica ti è costata copiare tutte queste opere!", esclamò Simone, mostrando la sua stupefatta meraviglia.
"La fatica più grande è stata quella di trovarle", rispose Ascanio con una punto d'orgoglio. "Durante il mio servizio sotto papa Giovanni X ho viaggiato in lungo e in largo per l'intera Italia e dovunque mi recavo, con l'appoggio del Pontefice, entravo nei monasteri e nei palazzi antichi ad esaminare i rotoli in loro possesso. Poi di notte, al debole chiarore di un lumino ad olio, li trascrivevo pazientemente. Per fortuna che il papa aveva con sé più di un amanuense ed io ne approfittavo per farli copiare anche per me. Tutto il denaro che guadagnavo col mio lavoro, lo spendevo quasi interamente per comperarmi l'occorrente per scrivere".
"Sbalorditivo!" ripeteva Simone estasiato. E di tanto in tanto afferrava un codice per dargli una rapida occhiata. "Non pensavo di trovare in questa casa così tanti amici del passato".

Mentre Simone e Adeodato ammiravano i codici della biblioteca di Ascanio, Beda attendeva ai suoi consueti lavori nell'orto. Spesso venivano in suo aiuto alcuni contadini del luogo ma quel giorno era solo. Fu in un punto ombroso e solitario del giardino, contrassegnato da un antico ceppo marmoreo sul quale talvolta il diacono Ascanio si sedeva per riposare durante le sue frequenti passeggiate, che qualcosa attirò la sua attenzione. Si avvicinò perplesso a controllare la palizzata. La trovò intatta e si tranquillizzò. Ma un piccolo fruscio su un grosso albero vicino gli fece sollevare lo sguardo. Rimase paralizzato e col cuore in gola vedendo Saracino, appollaiato su un ramo, che lo stava fissando col suo macabro ghigno.
"Sei venuto ad uccidermi?" chiese con fil di voce il povero Beda.
"Ma dai, ormai siamo amici!", rispose Saracino col suo fare beffardo. "Sarai l'unico ungaro che risparmierò, contravvenendo al mio giuramento".
"Che sei venuto a fare, allora?" chiese Beda un po' sollevato.
"A dare un'occhiata al diacono Ascanio. Un tempo era forte e gagliardo, ora invece lo trovo vecchio e fragile. Vorrei proteggerlo. Sai, i tempi sono tristi. Verrò ogni tanto a dargli un'occhiata, ma tu non spaventarti a quel modo. E se c'è un pericolo in vista, corri subito a cercarmi". E con un balzo saltò sulla palizzata e sparì. Beda decise che non avrebbe detto niente al diacono di quello strano incontro.

Il venerando Simone s'abituò ben presto alla sua nuova vita. Da principio era rimasto stordito da tutto il verde che lo circondava, che quasi gli dava una sensazione di soffocamento. Non aveva mai visto una natura così esuberante e travolgente. Nel paese d'oriente ove era nato, contrassegnato dal deserto, il verde era una specie di sogno proibito. Ora invece aveva assunto l'aspetto di un sogno eccessivo. Tutto quello che lo circondava era oggetto per lui di scoperte continue: il colore e il profumo dei fiori, la fragranza dei frutti e il cicaleccio quasi assordante, in certi momenti della giornata, degli uccelli. Si era presto rinvigorito e trascorreva lunghe ore a camminare da solo o con Adeodato lungo i viali del giardino. Aveva la strana sensazione che la sua vita avesse avuto inizio solo dopo il suo arrivo nella casa di Ascanio. Il periodo precedente lo vedeva vago e annebbiato. Gli occhi, ormai logori, non gli consentivano di dedicarsi molto alla lettura, ma Adeodato gli veniva in aiuto declamando con raffinata espressività i brani più significativi dei suoi autori preferiti.
Il momento più bello della giornata era verso il tramonto, quando tutti e tre, in attesa della parca cena, facevano assieme sorreggendosi l'un l'altro, l'ultima passeggiata, e camminando commentavano gli avvenimenti del giorno. Beda, che usciva spesso per fare delle commissioni, li teneva al corrente dei fatti più significativi. Erano venuti così a sapere che l'imperatore era entrato in città, accolto festosamente dal popolo e dagli ecclesiastici e che l'elezione del nuovo papa era imminente. Ma seguivano quegli avvenimenti con distacco, quasi non li riguardassero più.

Fu con enorme stupore, ma anche con una grande inquietudine, che Ascanio, il giorno dopo l'ingresso dell'imperatore in città, sentì una carrozza avvicinarsi all'entrata del suo orto. Aveva dato disposizioni, quando aveva lasciato il Laterano, che per nessun motivo al mondo lo venissero più a cercare. Perciò quell'imprevista visita lo rese subito ansioso. Dalla carrozza vide scendere Teofrasto, maestro di palazzo Laterano, che dopo un inchino profondo lo invitò ad entrare nella carrozza per un breve colloquio. Lo attendeva Otcherio, vescovo di Spira.
"Mio caro diacono", disse il vescovo dopo un affettuoso abbraccio, "vengo a nome dell'imperatore. Ti propone di indossare la tiara. Conosce tutto il tuo passato e sa che nessuno oggi a Roma è più preparato di te per questo altissimo compito".
"Prego vostra Beatitudine di ringraziare l'imperatore per la grande stima che mi dimostra", rispose amabilmente Ascanio, "ma di riferirgli anche che non posso accettare la sua proposta. Ormai sono vecchio e stanco e l'unico desiderio che ho è di trascorrere, nella più completa solitudine, il poco che ancora mi rimane da vivere per prepararmi degnamente al gran giorno".
"Conoscendoti, avevo già anticipato all'imperatore la tua risposta", disse con un sorriso Otcherio. "Forse non mi crederai, ma ho per te una profonda ammirazione e altrettanta invidia".
E dopo un secondo e più affettuoso abbraccio lo accomiatò.

"Che volevano da te?" chiese incuriosito Simone, quando lo vide ritornare.
"Che uscissi ancora dal mio orto", rispose Ascanio con un ampio sorriso sulle labbra. "Ma io ho risposto che ne uscirò soltanto dentro la mia bara".
FINE



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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)