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martedì 14 febbraio 2012

Il soprannaturale e il meraviglioso al tempo di Gesù (“L'invenzione del cristianesimo”) 38


Ai tempi di Gesù, non solo in Palestina, ma in tutto l'impero romano, i miracoli erano all'ordine del giorno. Il mondo antico era dominato dalla superstizione e da fedi apocalittiche per cui il soprannaturale e il meraviglioso erano la norma, non l'eccezione.

Ovunque vagabondavano visionari, guaritori, taumaturghi, ispirati da Dio, ai quali venivano attribuiti miracoli di ogni genere, anche la resurrezione dei morti. Fiorivano i culti iniziatici più disparati, improntati alla magia e alla mantica che spesso mescolavano atteggiamenti penitenziali e orgiastici e prevedevano la venuta di una qualche divinità celeste.

Petronio Arbitro riassume in una battuta sarcastica lo spirito della sua epoca affermando che le presenze divine pullulavano così numerose al suo tempo che era più facile, per la strada, incontrare un dio che un uomo. Tutti facevano miracoli, anche gli Imperatori. Vespasiano, come ci tramandano Tacito, Svetonio e Dione Cassio, guarì paralitici e ciechi, esattamente come fece Gesù spalmando sulle ciglia un miscuglio di saliva e di polvere.

Contemporaneo di Gesù visse il filosofo neopitagorico Apollonio di Tiana che, accompagnato da numerosi discepoli, percorse l’Asia Minore, la Siria, la Grecia fino a Roma, operando prodigi e miracoli come un inviato divino, e dopo la morte, secondo la leggenda, resuscitò e salì al cielo. Una controfigura di Gesù.

Erano rari gli uomini totalmente estranei all’atmosfera di psicosi religiosa di massa, come Luciano di Samosata (il Voltaire del suo secolo che smontava i prodigi ricostruendo i trucchi adoperati per renderli verosimili), i cinici Enomao di Gadara e Diogene Laerzio, che schernivano spietatamente l'esercito dei bigotti e degli stupidi.

Invece, Cicerone e Strabone, che non credevano nei miracoli, ritenevano che fosse necessario condurre al timore di dio le donne e il popolino mediante favole e storie miracolose. Cioè attribuivano, saggiamente, alla religione una funzione politica.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)