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domenica 19 febbraio 2012

L'enigma svelato. (Il lato oscuro della verità). 105



Ptolomeo impiegò più di un paio di settimane ad organizzare il suo primo carico di pelli. Al loro acquisto aveva provveduto Paolo, che si era assicurato il monopolio della vendita di tutto il pellame ricavato dai sacrifici del Tempio, col quale egli riforniva anzitutto la famiglia che risiedeva a Tarso in Cilicia, poi il gruppo di Damasco capeggiato da Rufo.

Non appena la piccola carovana di Ptolomeo giunse in città, Rufo e i suoi schiavi, che avevano già preparato il campo di lavoro, si misero subito all'opera. Paolo sarebbe venuto di tanto in tanto a controllare la situazione e a garantire, come esperto, la bontà dell'esecuzione. Giuda, come aveva promesso, era entrato nell'affare soltanto con un investimento in denaro perché la copisteria non gli lasciava tempo per altre attività e lo gratificava moltissimo. La sua casa, diventata il centro culturale della città, era il luogo d'incontro di molti intellettuali della zona e di illustri filosofi di passaggio. Ciò dava modo sia a Giuda sia a Davide di partecipare attivamente a frequenti dibattiti culturali e a dispute anche serrate. Per loro fortuna il giovane Dianteo, che aveva con gioia dimenticato i fornelli, si era trasformato nel loro braccio destro. Dirigendo con grande abilità tutto il lavoro dei copisti, li sollevava da molte incombenze e consentiva loro di dedicarsi agli ozi della cultura, che amavano tanto.

L'arrivo di Ptolomeo, atteso sempre da Giuda con viva impazienza, gli portò ulteriori ragguagli sull'evoluzione dei seguaci della Via. Egli era molto ben informato perché amico di Mattia, intimo di Giacomo, fratello di Gesù, e di altri esponenti del gruppo. Per accrescere la sua stima nei loro confronti era ricorso allo stratagemma, ispiratogli da Giuda, di aiutarli nelle loro opere di carità con cospicue offerte di denaro. Avrebbe provveduto poi Giuda a risarcirlo. Così i seguaci della Via, sia giudei sia ellenisti, lo invitavano spesso alle loro riunioni, considerandolo un timorato di Dio, cioè una persona molto vicina alle loro concezioni morali e religiose, anche se, non essendo ebreo, non era obbligato all'osservanza delle regole della Torà.

Si riunivano, quasi tutti i giorni, dopo la preghiera nel Tempio, in casa di qualcuno e leggendo i documenti esseni, in particolare il Documento di Damasco, si incitavano a vicenda a seguire con rigore le prescrizioni della Legge, a fuggire la fornicazione, ad esercitare le opere di misericordia, soccorrendo gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e nei loro bisogni materiali.

Concludevano le loro riunioni con un'agape fraterna, cioè con la divisione del pane che mangiavano assieme con commossa partecipazione. Avevano scarsa considerazione per l'aspetto esteriore, per ogni forma di lusso o di comodità, e, da seguaci del nazireato, avevano smesso di usare forbici e rasoi. Credevano fermamente nella resurrezione di Gesù e che, essendo la Fine dei Tempi vicina, il Risorto sarebbe presto tornato sulle nuvole per compiere la redenzione d'Israele.

Tra i primi seguaci della Via c'erano anche degli ebrei provenienti dalla diaspora, cioè dai territori che erano al di fuori della Palestina, soprattutto da Antiochia, e da altre città limitrofe. Erano fortemente ellenizzati e avevano come lingua madre il greco. Il loro esponente più importante era Stefano. Costui, un predicatore di straordinaria efficacia perché dotato di una focosa oratoria, faceva molti proseliti e metteva in confusione i rabbini delle sinagoghe, suscitando polemiche aspre e scontri frequenti. Egli accusava con accanimento i grandi sacerdoti del Tempio di aver voluto la crocifissione di Gesù e dava facile pretesto ai sadducei, cioè alla casta sacerdotale, di perseguitare l'intero movimento dei seguaci della Via. Questa era la nuova situazione che si stava delineando a Gerusalemme, secondo l'esposizione di Ptolomeo.

Giuda e Davide, dopo averla ascoltata col massimo interesse, si convinsero che tanto gli ellenisti, quanto i giudei erano rimasti nell'alveo della più tradizionale ortodossia ebraica. Si distinguevano dagli altri ebrei soltanto per la dedizione alle opere di misericordia, cosa questa altamente positiva, e per la convinzione, totalmente assurda, dell'imminente Fine dei Tempi e del ritorno di Gesù sulle nuvole. Secondo loro anche il trucco della Maddalena, attuato per mezzo loro, si prospettava come un totale fallimento, perché l'umanità non ne avrebbe ricavato alcun vantaggio.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)