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mercoledì 29 febbraio 2012

Il falso Jahvè (Genesi e involuzione del monoteismo biblico). Fine di Mosè 77


Freud traccia un parallelismo tra i due Mosè. Sul piano umano mette a confronto il Mosè egizio, intollerante, intransigente e coercitivo col Mosè madianita posteriore, disposto al compromesso. Sul piano religioso fa rilevare l'enorme divario tra il Dio unico egizio dei grandi misteri e di Akhenaton, e il Dio del Mosè madianita Jahvè, demone vulcanico e sanguinario. 

Infine, attribuisce al secondo Mosè tutte le imperfezioni del Dio biblico e della sua Legge, conseguenti ai compromessi concordati tra le fazioni dei fuoriusciti dall'Egitto (Freud, op. cit., pag. 361 e seguenti). Anche secondo Strabone (op. cit) nel corso della loro storia gli ebrei avrebbero sostituito l'autentica dottrina monoteistica con norme superstiziose.

Con il trascorrere dei secoli, per merito soprattutto dell'azione incisiva dei grandi profeti, e con l'affiorare del senso di colpa per la sua uccisione, il latente ricordo del primo Mosè sarebbe immancabilmente riaffiorato, sovrapponendosi a quello del Mosè madianita, col risultato di un'unica religione sincretica.

Ciò spiegherebbe la mutazione che nella Bibbia subisce la figurazione di Jahvè da rozzo Dio primitivo, meschino, violento e assetato di sangue, quale ci viene raffigurato nella conquista della Terra di Canaan, al Dio-Signore che propone agli uomini una esistenza vissuta secondo verità e giustizia, come quello egizio dei grandi misteri, predicato da alcuni profeti d'Israele e delineato nella riforma di Giosia

Strabone


Preludio dell'insurrezione armata (“L'invenzione del cristianesimo”) 51


L'entrata trionfale a Gerusalemme cavalcando l'animale profetizzato per il Messia, la cacciata dei profanatori del Tempio, la cena dell'unzione a Betania, e soprattutto l'ultima cena, furono gli avvenimenti più significativi degli ultimi giorni della vita di Gesù, che dovevano preludere all'inizio dell'insurrezione armata.

La domanda più ovvia a questo proposito potrebbe essere: com'era possibile che un così sparuto gruppo di ribelli, sia pure appoggiato indirettamente da alcuni importanti capi dei giudei, come erano ritenuti Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea, osasse sfidare la potente guarnigione militare romana, acquartierata nelle Torre Antonia?
Una sfida senza senso ai nostri occhi ed anche per le autorità del Tempio. 

Ma i messianisti, nel loro delirante fanatismo, ragionavano in altro modo. Anzitutto s'aspettavano l'incondizionato appoggio delle masse popolari, sempre pronte a dare ascolto a chiunque si proclamasse Messia e a seguirlo fino al martirio (vedi il caso più clamoroso ricordato in precedenza, quello di Giuda il Galileo crocifisso con duemila seguaci), ma soprattutto erano convinti che Jahvè sarebbe intervenuto con le sue schiere celesti a dar man forte a chi, nel suo nome, lottava per dar vita al nuovo regno di Dio.

Torre Antonia (ricostruzione)


martedì 28 febbraio 2012

Più il popolo italiano si secolarizza, più la Chiesa si mondanizza rafforzando il suo potere politico ed economico.


Che la Chiesa in Italia sia ormai una istituzione totalmente svuotata da ogni principio evangelico e sempre più tesa al perseguimento del potere economico e politico, è cosa ormai talmente evidente che comincia ad essere condivisa da strati sempre più vasti della popolazione. 

La gente, i cittadini, il popolo, chiamateli come volete, sono sempre più delusi e indignati contro governi e partiti che hanno ridotto il Paese al lastrico, ma anche contro una Chiesa che ha sostenuto o tollerato il malgoverno che ci rovinati, preoccupandosi solo di ricavare dal potere politico benefici, privilegi e prebende di ogni genere, declinando ogni senso di responsabilità economica per il salvataggio dell'economia nazionale e ancora più deludendo per i nuovi scandali finanziari e lo sconcertante fenomeno dei numerosissimi casi accertati di pedofilia di preti.

La sensibilità dei fedeli è scossa a tal punto da provocare non pochi casi di abbandono e di ventilare l'ipotesi dello sciopero della messa. Il ricco e sempre più cospicuo finanziamento pubblico di cui godono le istituzioni ecclesiastiche fa percepire la Chiesa italiana assimilata e sullo stesso livello dei partiti politici. L'immagine che ultimamente la Chiesa-istituzione ha dato di sé attraverso il volto pubblico della Cei, l’ha fatta davvero sembrare
un partito come gli altri, anzi peggiore degli altri. In effetti del partito ha tutti i connotati: al suo vertice un presidente e un segretario che esercitano pieni poteri amministrativi e politici. 

Alle dipendenze di questi il grande esercito ecclesiastico costituito da duecentocinquanta vescovi e ventottomila parroci che controllano tutto il territorio nazionale, e una vastissima rete di giornali, radio e Tv, direttamente o indirettamente finanziati dallo Stato, che assicura una capillare comunicazione in ogni angolo del territorio. Il tutto mantenuto da un miliardo e duecento milioni di euro che ogni hanno lo Stato elargisce al partito-Chiesa, attraverso l’otto per mille dei contribuenti, che di fatto lo rende il partito di gran lunga più privilegiato rispetto agli altri che si devono accontentare, tutti insieme, di 500 milioni di euro circa. Ma il partito Cei ci costa molto di più.

Un altro miliardo annuo viene sborsato dallo Stato per pagare i “quadri” della Chiesa, nominati dai vescovi diocesani senza concorso (ci mancherebbe!), e inviati a coprire le ore di religione nelle scuole di ogni ordine e grado. Altri 50 milioni ogni anno per il personale ecclesiastico, inviato dai vescovi a svolgere ministero pastorale nell’esercito, nella polizia, negli ospedali e nelle carceri (quindi due più volte dallo Stato). 

 Anche il giornale del partito Cei, come può essere considerato Avvenire, pesa sul contribuente italiano per oltre 16 milioni di euro all’anno. Ma non fermiamoci qui! Le vie della provvidenza divine sono infinite ed ecco i finanziamenti delle scuole private cattoliche (261 milioni, vietati dalla nostra Costituzione), degli oratori parrocchiali (2 milioni e cinquecento mila), esenzioni varie (Ici, Ires, Irap che ci costano un altro paio di miliardi)). Infine, affiancano questi enormi benefici finanziari i cosiddetti “diritti di stola”: sono le tariffe che i fedeli devono versare al parroco per l’amministrazione di ogni singolo sacramento o per le Messe (naturalmente tutti esentasse, ci mancherebbe!). 

A tutto questo peso finanziario non si può non aggiungere il notevole
peso ideologico e dottrinale che la Chiesa esercita sul Paese facendo passare per valori sacri “non negoziabili” l’intero armamentario clericale di dottrine, principi e precetti pseudomorali che non scaturiscono dal Vangelo ma da consistenti residui del potere temporale e dal suo sempre più oppressivo oscurantismo medioevale. 

La nostra classe politica, codarda e servile, se, anziché al servizio del Vaticano fosso al servizio del popolo italiano che la mantiene lautamente,dovrebbe imporre alla Chiesa di non interferire sull’applicazione delle leggi anche quando queste non corrispondono al tradizionale magistero ecclesiastico: leggi sul divorzio, sull’aborto, sulla fecondazione assistita, sul testamento biologico, sulle coppie di fatto e così via.

Card. Angelo Bagnasco presidente della Cei


La cena di Betania (“L'invenzione del cristianesimo”) 50


I tre evangelisti sinottici, nel tentativo di cancellare i riferimenti messianici di Gesù, il suo attaccamento a Lazzaro e alle sue sorelle, e forse anche il fatto che Maria di Magdala era sua consorte, collocano il banchetto in casa di un certo Simone il lebbroso o Simone fariseo, e attribuiscono il gesto dell'unzione ad una donna senza nome, considerata da Luca una peccatrice del luogo. Lazzaro e le sue sorelle svaniscono nel nulla. (Marco 14,3-9; Matteo 26,6-13; Luca 7,37-39).

Il fatto che Lazzaro, così importante per il Vangelo giovanneo, venga dagli altri tre Vangeli deliberatamente fatto sparire al punto da ometterne anche la sua resurrezione, considerata uno dei più eclatanti miracoli di Cristo, dimostra, al di sopra di ogni dubbio, che i Sinottici hanno sottostato all'esigenza di censurare chi, come Lazzaro, era un personaggio forse legato ai più intransigenti gruppi del messianismo ebraico. 

Il fatto poi che Maria, sorella di Lazzaro, fosse nella realtà la consorte di Gesù (a questo proposito ricordo che la legge Mishnaica degli ebrei del tempo non lasciava spazio a dubbi: "un uomo celibe non può essere Maestro"), ha contribuito ulteriormente, in base alle esigenze teologiche paoline della divinità di Cristo, a manipolare così grossolanamente gli avvenimenti e a far piazza pulita della famiglia di Lazzaro.

lunedì 27 febbraio 2012

Il falso Jahvè (Genesi e involuzione del monoteismo biblico). Fine di Mosè 76


Stando alla Bibbia ai patriarchi si era palesato un altro Dio, e cioè El, "colui che è potente e non si chiama". Freud non manca di osservare anche la relazione tra la radice del nome Iovis, genitivo di Iupiter, con quello di Jahvè, nonché quella di Aton con Adon e Adonai, termini biblici per indicare Dio (Freud, op.cit., pag 371 e 353).

Esaminando le molte incongruenze riscontrabili nell'Esodo (ad esempio, il faraone non riconosce in Mosè il suo nipote adottivo), Freud formulò anche l'ipotesi che ci fossero stati due Mosè nella storia d'Israele: il primo, ucciso dal popolo che non era in grado di sopportare il suo monoteismo esigente; il secondo, vissuto alcune generazioni dopo, che trovò il proprio posto nella memoria della tradizione.

La teoria del doppio Mosè sostenuta da Freud era stata ventilata da Eduard Meyer fin dal 1906. Secondo quest'autore Mosè non era il nipote del faraone descritto dalla Bibbia, protagonista dell'esodo degli ebrei, bensì un madianita che faceva il pastore nell'oasi di Meribah-Qadesh, nell'attuale Negev, nel sud della Palestina.

Lì avrebbe istruito gli ebrei ad adorare Jahvè, Dio vulcanico sinaitico, venerato dalla contigua tribù araba dei madianiti (E.Meyer, op. cit., pp 38-58). Il Mosè egizio e il Mosè madianita di Meyer erano quindi due persone diverse.

Eduard Meyer


La cena di Betania (“L'invenzione del cristianesimo”) 49 La cena di Betania (“L'invenzione del cristianesimo”) 49


In concomitanza a questi due importanti avvenimenti, ne avvenne un altro, non pubblico ma privato, ciononostante pregno di pathos e di intensi significati simbolici, conosciuto come l'unzione di Betania. Anch'esso getta piena luce sulla messianicità di Gesù.

È singolare il modo con cui viene raccontato dagli evangelisti. Giovanni nomina esplicitamente il luogo e dà un nome ai personaggi protagonisti dell'avvenimento; i Sinottici, invece, chiaramente manipolati dal meccanismo di censura, più volte denunciato e usato per mascherare o alterare personaggi ed eventi, lasciano tutto nel vago.

L'episodio, come ce lo racconta Giovanni nel suo Vangelo, possiamo riassumerlo così. A Betania, nella casa di Lazzaro, durante un banchetto serale servito da Marta, sorella di costui, per celebrare l'imminente insurrezione programmata da Gesù e i suoi seguaci, Maria di Magdala, altra sorella di Lazzaro (e presunta consorte di Gesù), si avvicina al Maestro reggendo in mano un prezioso vasetto di alabastro contenente una libbra di nardo, un costosissimo profumo del prezzo, a quel tempo astronomico, di almeno 300 denari.

Di fronte a tutti i presenti infrange il vaso e versa l'unguento profumato sui piedi di Gesù (e secondo gli altri evangelisti anche sulla testa), e lo asciuga coi suoi capelli. I commensali, verosimilmente sbalorditi, esprimono disappunto per l'enorme spreco e Giuda, non nascondendo la sua irritazione, abbandona la cena e si reca dai sacerdoti per concordare il suo tradimento nei confronti del Maestro. Questo è quanto ci dice Giovanni (Giovanni 12,1-11).

Prima di parlare dello stravolgimento dell'episodio fatto dagli altri tre evangelisti, cerchiamo di decodificarlo per capirne i reconditi significati. Anzitutto, perché quel gesto così eclatante nei confronti di Gesù da parte della Maddalena? Per amorosa devozione, per passionale trasporto? Non solo per questo.

Quel gesto in realtà, come osservano molti studiosi, era una cerimonia d'unzione che ufficializzava di fronte a tutti, nell'imminenza della rivolta, la dignità messianica di Gesù, come figlio di David e re dei Giudei. E il comportamento di Giuda? Irritazione e disappunto per l'enorme spreco? Disgusto per il gesto plateale della Maddalena? Affatto. Semplicemente: avvertire il Tempio e gli antimessianici che ormai la rivolta era imminente, convinto com'era che fosse destinata ad un tragico fallimento. 

domenica 26 febbraio 2012

Peccato e redenzione. Il cristianesimo delle origini. 50


Una nuova speranza messianica si era aperta alle loro menti: il Messia di discendenza davidica era risorto e, asceso al cielo alla destra di dio Padre, sarebbe presto tornato sulla Terra, come Messia Martirizzato, sotto le spoglie del Figlio dell'Uomo, preconizzato nel Libro di Daniele. Circonfuso di potere e di gloria, avrebbe, dopo la cacciata definitiva degli oppressori romani, rifondato il regno di David e restaurato l'antico Tempio di Salomone. Il nuovo regno sarebbe stato santo e imperituro e avrebbe costretto anche i gentili ad adorare Jahvè.

Ebbe inizio così la parusia, cioè l'attesa febbrile del ritorno imminente di Gesù dal cielo, in carne ed ossa, che diede origine al cristianesimo giudaico. Mai passò per la mente dei seguaci di Gesù che la fede nel ritorno del Risorto volesse preludere alla nascita di una nuova religione, staccata dall'ebraismo. Anzi, consideravano questa aspettativa come un suo completamento, secondo quanto avevano detto le Scritture e i profeti.

Quindi essi non avevano alcuna cognizione della natura divina di Gesù; lo ritenevano semplicemente un uomo prescelto dal Signore, una specie di Messia e di profeta. Infatti rimasero sempre fedeli alle religione giudaica. Se avessero proclamato la divinità di Gesù-dio non avrebbero mai potuto frequentare il Tempio e avrebbero rischiato la lapidazione per la violazione del principio fondamentale dell'ebraismo: il monoteismo.

Non solo ignoravano la deificazione di Gesù, ma anche la sua nascita verginale (tra loro c'erano i fratelli di Gesù), e tutte le altre invenzioni mitologiche dei Vangeli posteriori, compresa l'istituzione del battesimo e dell'eucaristia. Gesù, durante il suo apostolato si era rivolto esclusivamente ai suoi correligionari ebrei e non aveva mai tentato di convertire i pagani, paragonati in modo rozzo e sprezzante a “cani e porci”. I suoi primi seguaci, quindi, seguendo la sua linea, continuarono a diffondere la nuova dottrina esclusivamente tra gli ebrei. 

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 106


Intanto Rufo aveva iniziato il suo nuovo lavoro ed era molto soddisfatto di come stavano andando le cose. La costruzione delle tende procedeva molto bene e i primi esemplari erano quasi pronti per essere inviati nei vari accampamenti della Legione di Siria. Prima della spedizione attendeva con impazienza l'arrivo di Paolo per il controllo della qualità.

Una sera, mentre Giuda ed Davide, se ne stavano nella sancta sanctorum a consultare l'ultimo acquisto della loro biblioteca "Le Storie" di Posidonio di Apamea, furono avvertiti da Dianteo che un giovane, appena giunto a cavallo da Gerusalemme, chiedeva con insistenza di essere ricevuto.
"A quest'ora?" chiesero sorpresi ed anche un po' scossi per la novità della cosa. Non riuscivano a rendersi conto chi potesse essere lo strano visitatore.
Era Paolo. "Rufo torna domani da Sidone e chiedevo se potevo essere ospitato per questa notte" chiede il giovane con decisione, dopo i consueti convenevoli.

Mentre Berice approntava il bagno e una rapida cena, Paolo, vedendo la biblioteca illuminata con la porta socchiusa, vi entrò d'impulso. Di fronte alle centinaia di rotoli, ben allineati negli scaffali delle pareti, ammutolì dalla sorpresa. Era la prima volta che vedeva una cosa simile.
"Sapevo della copisteria, ma non credevo che avevate anche una biblioteca personale così ben fornita. È una cosa meravigliosa!" esclamò al colmo dello stupore.

Il sincero sbalordimento del giovane solleticò l'orgoglio di Giuda e subito Paolo gli divenne simpatico.
"Non vorrete farmi credere che avete letto tutti questi libri?" riprese dopo un po', sempre più ammirato, il nuovo ospite.

"Io tutti quelli scritti in greco, che sono la maggior parte, e Davide anche gli altri scritti in latino e demotico" rispose Giuda, fingendo noncuranza, nonostante dentro di sé provasse un'intensa soddisfazione.
Convennero che dopo il bagno e la cena avrebbero chiacchierato delle ultime novità di Gerusalemme, sedendo in quella stanza così confortevole.


In nomine Domini. (Parte prima). 3


Quando Pacomio ricevette l'ordine di predisporre la carrozza della Senatrice con numerosa scorta al seguito e di allestire, nel più breve tempo possibile, le stanze nobili del palazzo, capì che qualcosa di grosso stava accadendo. Si precipitò ad obbedire ed intanto arzigogolava con la mente i possibili risvolti della faccenda, senza venirne a capo.

Solo a sera, quando la Senatrice attraverso un passaggio segreto giunse nei piani alti del palazzo assieme al figlio papa, scoprì l'enigma. Si prostrò a baciare la sacra pantofola del giovane, che aveva in parte allevato, e lo condusse nelle stanze col suo piccolo seguito. L'ordine che ricevette da Marozia fu categorico: nessuno, a parte la servitù preposta e ridotta al minimo, doveva conoscere la presenza di Sua Santità. Nemmeno, e soprattutto, il fratello Alberico.

Ma Alberico, sveglio e astuto com'era, aveva subodorato qualcosa perché non gli erano passati inosservati i preparativi di Pacomio. Aveva chiesto informazioni all'eunuco, di solito molto amabile e disponibile con lui, e di fronte alle sue imbarazzate reticenze si era proposto di scoprire da solo quanto stava accadendo. Magari al suo rientro a notte fonda. Aveva infatti in animo quella sera di recarsi in abito da mercante (ma con la scorta di tre abilissimi balestrieri mimetizzati da pellegrini) nel postribolo più prestigioso della città, quello tenuto dalla Monachessa Sigonia.

Era costei molto conosciuta da tutta Roma per il suo passato avventuroso. Veniva chiamata la Monachessa perché, ancor molto giovane e spinta da sincera vocazione, era entrata in un monastero di Orte. Lì, per sua disavventura, era venuta in contatto col vescovo Lutezio, uomo dissoluto e crapulone, com'erano allora molti ecclesiastici che avevano comperato la nomina per denaro da papi compiacenti. 

Costui si era pazzamente invaghito della giovane e, di fronte alle sue resistenze, l'aveva fatta rapire e rinchiudere in una casa di sua proprietà. Rimasta incinta, l'aveva fatta sposare proforma ad un ungaro al suo servizio. Alla nascita del figlio, il vescovo lo aveva fatto sottrarre alla madre, volendolo allevare per sé, e l'aveva nascosto in un posto segreto. 

Ma l'ungaro, ribellatosi ai soprusi del suo padrone, l'aveva ucciso, e recuperato il bambino era sparito nel nulla. Rimasta sola e indifesa Sigonia, per sopravvivere, si era rifugiata in un bordello e in breve era diventata la prostituta più ricercata di Roma, frequentata anche dall'alto clero. Si mormorava che più di un papa fosse entrato nella sua alcova.


sabato 25 febbraio 2012

Il falso Jahvè (Genesi e involuzione del monoteismo biblico). Fine di Mosè 75


La tesi sostenuta da Sellin parve a Freud avvalorare la sua supposizione che Mosè fosse stato ucciso collettivamente dal popolo ebraico per il suo insopportabile dispotismo, durante una sommossa popolare: "Il popolo ebraico di Mosè non era in grado di capire una religione ad alto contenuto spirituale, di trovare in essa il soddisfacimento dei propri bisogni, così come non l’avevano capita gli egiziani della XVIII dinastia. 

Sia nell’un caso sia nell’altro, i dominati e i defraudati insorsero e si liberarono del peso di una religione imposta. Ma mentre i mansueti egiziani attesero che il destino togliesse di mezzo la sacra persona del faraone, i feroci semiti presero in pugno il destino stesso abbattendo il tiranno" (S. Freud, op.cit., pag. 373).

Un'esecuzione in piena regola, quindi. E dal pentimento, che secondo Freud si manifestò in seguito, si sarebbe generato un impreciso e immanente senso di colpa, ancora presente nell'inconscio ebraico. 

Tolto di mezzo il profeta, continua Freud, gli ebrei avrebbero ripudiato il monoteismo d'origine egiziana, mai del tutto assimilato, e giunti nella zona di Moab si sarebbero lasciati sedurre dal culto pagano di un nume vulcanico sinaitico, primordiale e sanguinario, chiamata Jahvè (S. Freud, op. cit., pag. 361).

Questo nume tutelare, primordiale e sanguinario, corrisponde esattamente al Dio venerato in Israele almeno fino alla riforma d Giosia nel VI secolo a.C. Secondo Leoard C.Woolley (Abraham. Recent Discoveries and Hebrew Origins pag. 256) Jahvè era il Dio di tribù siriane stanziatesi in Palestina prima di Mosè. Freud era convinto che questo Dio fosse sconosciuto ai patriarchi, tant’è vero che è il Signore stesso a far sapere a Mosè di non essersi mai manifestato ad Abramo, né ad Isacco o a Giacobbe sotto l'appellativo di Yhwh o Jahvè che fosse (Esodo, 6,3).

Leonard C. Woolley


La condanna a morte di Gesù (“L'invenzione del cristianesimo”) 48


Le autorità del Tempio, timorose di ogni sommossa, e tutte le classi alte della città e soprattutto gli erodiani, considerarono questi due episodi una deliberata sfida alle autorità costituite e una seria minaccia di insubordinazione.

La festa imminente della pasqua si annunciava particolarmente pericolosa e drammatica. Bisognava correre ai ripari al più presto possibile e sedare la rivolta sul nascere. I sinedriti si riunirono preoccupati e si dissero: "Se (Gesù) lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione.

Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera»" (Giovanni 11,47-50).

Il destino di Gesù era segnato. La sua condanna era una condanna politica, non religiosa. La presunta blasfemia non c'entrava per niente, per essa c'era solo la lapidazione che il sinedrio era libero di applicare in qualsiasi momento, a suo insindacabile giudizio e senza il permesso dei romani.

A giustificazione di Caifa va detto che il sommo sacerdote e i capi del sinedrio dovevano rispondere di qualsiasi violazione dell'ordine pubblico, e se non riuscivano a reprimere i disordini intervenivano prontamente i romani con rappresaglie durissime. Di queste sotto Ponzio Pilato ce ne furono di orribilmente crudeli, come vedremo in seguito.

Caifa e Hanna in sinedrio


venerdì 24 febbraio 2012

Nel Triveneto, l'antica Vandea d'Italia, la fede è in forte calo e il 62% dei cattolici contesta le ingerenze politiche della Chiesa.


Sono dati che emergono da una corposa indagine dell’Osservatorio religioso del Triveneto commissionata dalla Conferenza Episcopale Italiana realizzata intervistando un campione di 2.500 anime del Nord Est.

 Altro che fischi, qui Celentano troverebbe un pubblico che lo approva e rincuora.
Ne parla “Il Piccolo”, quotidiano di Trieste, in un articolo a firma di Gianpaolo Sarti. 

Fino a qualche decennio fa, serbatoio che sembrava inesauribile nelle vocazioni e nel pietismo religioso, oggi l'intero Triveneto si scopre sempre più laico, multiculturale, scettico e sempre più critico verso le ingerenze della Chiesa nella politica e con dubbi crescenti sul modo di intendere la sessualità. Va a messa ogni tanto, quando capita. O mai. E non si confessa ormai più. Scopre la sua spiritualità non tanto nella preghiera o durante le cerimonie religiose ormai ridotte a vuota ritualità,ma nei legami affettivi, anche se non conformi alla religione.


Nel Nordest è il Friuli Venezia Giulia la regione più secolarizzata dell’area sottoposta all’indagine. Sulla bilancia pesa il ruolo di Trieste, città da sempre molto cosmopolita, ed ora anche molto più avanzata laicamente. Le cifre parlano chiaro: la religione è ritenuta molto importante dal 26% degli intervistati, contro il 30% del Veneto e il 27% del Trentino. A Trieste, Udine, Gorizia e Pordenone va a messa regolarmente il 21,3% del totale, lo fa saltuariamente il 13,4% ed eccezionalmente il 22,7 per cento. 

Queste cifre comprendono soprattutto persone anziane. Non ci va mai il 42,6% della popolazione (comprendente la maggior parte dei giovani), a differenza delle altre due regioni che si collocano sotto il tetto del 36%. In tutto il Nordest la confessione è un’abitudine dimenticata per il 35% ma anche l'Eucarestia sta perdendo terreno ridotta dal 51,1%, a puro fatto simbolico, e non più considerata il corpo e il sangue di Cristo.


Complessivamente, nelle zone del Veneto, Trentino e Friuli-Venezia Giulia, da questi dati si evince che la secolarizzazione avanza a ritmo sostenuto convalidata anche dal fatto che le nozze civili arrivano al 51%, superando quelle religiose e che,addirittura, Il 26,4% dei figli nasce fuori dal matrimonio, superando la media nazionale.


Il vescovo di Padova, Antonio Mattiazzo, commentando gli esiti della ricerca così poco confortevoli per la Chiesa, ha dichiarato che essa fotografa un Nordest dove la gente è “pessimista e smarrita”. Per gli ecclesiastici e per i politici teocon e leghisti, quando la gente si libera dall'oscurantismo religioso e riscopre i valori (quelli sì non derogabili), della laicità, della libertà e dei diritti civili che favoriscono un sano edonismo, da sempre vilippeso dalla Chiesa come peccaminosa gioia di vivere, va verso lo smarrimento e il baratro. Tutto ciò che libera l'uomo è satanico.

Triveneto


Il secondo grave errore di Gesù: la cacciata dei mercanti dal Tempio (“L'invenzione del cristianesimo”) 47


Che l'ingresso a Gerusalemme fosse intriso di implicazioni politiche divenne evidente, quando, pochi giorni dopo, Gesù entrò nel Tempio per scacciarne i mercanti che l'avevano trasformato in una "spelonca di ladroni" (Marco 11,17).

Questo secondo gesto fu un vero atto di guerriglia di stampo zelota, attuato con deliberata violenza etico-politica. L'immagine di Gesù che da solo si avventa tra i mercanti del sacro edificio, fustigandoli e rovesciando i loro banchi, appare inverosimile.

È molto più verosimile che il suo intervento sia stato una vera e propria azione di massa e il mancato pronto intervento dei romani sia stato dovuto al fatto che i dimostranti erano così soverchianti di numero da costringerli ad asserragliarsi nella Torre Antonia, situata in linea d'aria, a pochi metri dal Tempio, senza osare di intervenire.

Questo assalto avvenne obbedendo a due istanze molto sentite dagli esseni: denunciare il degrado in cui era caduta la casa di Dio, ridotta a spelonca di mercanti e di cambiavalute, a mattatoio crudele di vittime innocenti (ricordiamo che durante la celebrazione delle feste pasquali venivano immolati più di ventimila animali in un lezzo nauseabondo di sangue e di incenso e che gli esseni disapprovavano i sacrifici cruenti) e non più a luogo di devozione e di preghiera; combattere il trionfo di Mammona (il dio denaro) che generava cupidigia, avidità, brama di ricchezza, ed era la negazione della vita semplice, umile e povera che predicava l'ascetismo esseno.

Il gesto risuonò come un attacco non solo contro Roma, che doveva garantire l'ordine pubblico, quanto contro la gerarchia templare e tutte le istituzioni religiose d'Israele e suonò sacrilego perfino agli occhi di molti messianisti.


Infatti, quel mercato non rappresentava per gli ebrei dell'epoca alcunché di empio in quanto era considerato il centro della vita economica della città e indispensabile al funzionamento del Tempio. Era protetto da guardie, sia giudee sia romane, armate pesantemente e la stessa guarnigione romana era situata nella Torre Antonia, che lambiva il quadrato di mura che circondava il sacro edificio.

Cacciata dei mercanti dal Tempio


giovedì 23 febbraio 2012

Peccato e redenzione. Il cristianesimo delle origini. 49


Per quanto riguarda l'ascensione, le stesse contraddizioni e incongruenze riscontrate sulla resurrezione. Matteo ad essa non accenna proprio; Marco ne parla invece esplicitamente (Marco 16,19) ma la sua testimonianza è palesemente aggiunta a posteriori perché nei manoscritti più antichi non c'è. Giovanni la fa raccontare da Maria di Magdala agli apostoli, senza che essi abbiano assistito ad essa (Giovanni 20,17-18). 

Luca presenta due versioni contrastanti. Nel suo Vangelo l’Ascensione di Cristo avviene il giorno della resurrezione, nella sera della domenica di Pasqua e nei pressi di Betània. Negli Atti, invece, quaranta giorni dopo sul Monte degli Ulivi (Luca 24,50- Atti 1,12).

Insomma non c'è nulla di certo, tutto si svolge nel vago e nel pressappoco. Ciò rende evidente che la resurrezione e l'ascensione furono il frutto di fantasie, di vari sentito dire. 

Sono in molti a ritenere, a cominciare da Celso, che il corpo di Gesù sia stato trafugato dalla tomba e nascosto da Giuseppe d'Arimatea e che la resurrezione e l'ascensione siano scaturite dalla fantasia delirante della "pasionaria" e presunta consorte, Maria di Magdala. 

Comunque, la resurrezione di Gesù, prontamente accettata dagli apostoli, fece abbandonare loro l'idea di rientrare alla chetichella in Galilea e li convinse a rimanere a Gerusalemme per attendere tutti insieme il ritorno del Risorto, ritenuto imminente.

Ascensione di Gesù al cielo


Il primo grave errore di Gesù: l'entrata trionfale a Gerusalemme (“L'invenzione del cristianesimo”) 46


Il primo eclatante episodio, che maggiormente impressionò il Tempio e destò l'attenzione delle stesse autorità romane, fu l'ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme, acclamato trionfalmente dalla popolazione come figlio di David e re d'Israele. Avvenne, secondo Giovanni (12,12-15), poco dopo la resurrezione di Lazzaro, e verosimilmente ebbe come punto di partenza Betania.

Durante il suo soggiorno a Gerusalemme Gesù, come abbiamo visto in precedenza, soggiornò frequentemente in questo piccolo villaggio che distava appena qualche chilometro dalla città santa, pernottando nella casa di Lazzaro assieme a Marta e alla Maddalena, sorelle di quest'ultimo. In quell'ambiente rurale, popolato da gente semplice, Gesù dopo gli aspri e continui scontri con gli scribi e i farisei sotto i portici del Tempio, che tanto lo amareggiavano, trascorse ore serene che gli ricordavano la gioiosa permanenza in Galilea.

Lì, dove era avvenuta, secondo Giovanni, la resurrezione del discepolo più amato e forse più vicino al suo ideale messianico, Gesù fu acclamato festosamente dalla gente del posto, che ben lo conosceva a causa delle sue frequenti visite nella casa di Lazzaro e della probabile parentela con lui, e condotto trionfalmente nella vicina Gerusalemme a cavallo di un asinello. La scena sembra ricalcata da una profezia di Zaccaria.

"Esulta grandemente…. Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re.
Egli è giusto e vittorioso,

umile, cavalca un asino,
un puledro figlio d'asina (Zaccaria 9, 9).

Secondo Marco, i gerosolimitani lo accolsero in un tripudio di canti e di rami di palma, al grido: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, il regno di David, nostro padre. Osanna negli altissimi!” (Marco 11,9-10).

Questa entrata trionfale nella città santa, intesa come clamorosa rivendicazione di messianicità regale, era un chiaro atto di deliberata provocazione politica e di piena sfida a Roma, perché inteso a conquistare i favori popolari nell'imminenza dell'insurrezione messianica.

Ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme


mercoledì 22 febbraio 2012

Il falso Jahvè (Genesi e involuzione del monoteismo biblico). Fine di Mosè 74


Secondo la Bibbia, Mosè morì il giorno del suo centoventesimo compleanno, ancora in pieno vigore fisico e psichico. Non gli fu concessa da Jahvè la grazia di calcare la Terra Promessa ma soltanto di poterla guardare da lontano. Non il popolo ma il suo Dio avrebbe sotterrato Mosè, non si sa dove.

E Mosè, servo del Signore, morì lassù nel paese di Moab, come il Signore aveva ordinato, e Dio lo seppellì nella valle, nel paese di Moab, dirimpetto a Bet-Fegor; ma nessuno fino al presente ha mai saputo dove sia la sua tomba”. (Deuteronomio 34,5-6).
Infatti, né il monte, né la sua tomba sono mai stati identificati.

Il racconto della morte di Mosè ha dato origine a qualche perplessità tra gli storici e gli esegeti della Bibbia. Il suo dispotismo, la sua spietatezza nell'ordinare ai Leviti di passare a fil di spada tremila ebrei, rei di aver patrocinato la costruzione del vitello d'oro, la sua ossessiva intransigenza religiosa, non lo fecero mai amare dal popolo, che del resto gli era estraneo, per cui qualcuno ha sollevato il sospetto che Mosè non sia morto in mezzo al popolo che assisteva affranto alla sua dipartita, ma per mano del popolo.

Il biblista tedesco Ernst Sellin decifrando il libro di Osea, profeta minore dell'VIII sec a.C., nel passo in cui esotericamente si allude alla tribù di Ephraim (Osea 12,14-15 e 13,1-2), giunse alla conclusione che quella tribù, che discendeva dal secondogenito di Giuseppe, si sarebbe macchiata di empietà e del sangue di colui che l'aveva fatta uscire dall'Egitto, cioè di Mosè (E. Sellin, Moses und seine Bedeutung).

Lo scritto di Sellin suscitò grande scalpore al suo apparire. Nel 1938 l'ebraista Abraham Yahuda diffuse la notizia che Sellin, prima di morire nel 1932, avesse ritrattato la sua tesi. Notizia assolutamente falsa perché nelle sue ultime opere Sellin aveva pubblicato altri riscontri biblici che confermavano più che mai la sua ipotesi sull'assassinio di Mosè (E.Sellin, Hosea und das Martirium des Mose pagg. 26-33).

Ernst Sellin


Gesù a Gerusalemme (“L'invenzione del cristianesimo”) 45


Finché Gesù perseguì il suo apostolato politico-religioso nella Galilea, lontano da Gerusalemme, nella città santa era poco noto e forse considerato uno dei tanti rabbi improvvisati che sorgevano e tramontavano con una certa frequenza e che la gerarchia templare sopportava con malcelato fastidio. Ma quando calò a Gerusalemme e intensificò il suo ruolo messianico, suscitò ben presto l'attenzione delle alte classi del clero e degli erodiani, fortemente antimessianici, e verosimilmente degli stessi romani i quali, preoccupati dai continui disordini provocati da zeloti e sicari, controllavano capillarmente la città, specie durante le frequenti feste religiose che attiravano molti pellegrini da tutta la Palestina.

La permanenza di Gesù a Gerusalemme non fu lunga ma subito suscitò un'ostilità potente e durissima che lo incupì e amareggiò. L'atmosfera gioiosa, che lo aveva circondato nei villaggi della Galilea, veri e propri bagni di folla allegra e festante, si trasformò in aride e pedisseque dispute sotto i portici del Tempio con scribi e farisei, arroganti e sprezzanti, che lo trattavano con supponenza e apertamente lo minacciavano. L'amarezza di Gesù risulta in tutta la sua evidenza nell'accorata apostrofe a Gerusalemme: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!" (Matteo 23,37).

Nonostante l'appoggio, più sotterraneo che esplicito, di alcuni importanti sinedriti, come i già accennati Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea e di altri personaggi molto in vista come Lazzaro (ricordiamo che all'annuncio della sua morte erano giunti nella sua casa di Betania molti scribi e farisei di Gerusalemme), non pare, stando ai Vangeli, che Gesù fosse riuscito a raccogliere nella città santa un consistente gruppo di seguaci. I gerosolimitani non erano così facili da conquistare come le semplici popolazioni rurali della Galilea.

Avvezzi ad assistere ad un flusso costante di pellegrini e di stranieri, si erano fatti più smaliziati e non si lasciavano facilmente incantare dal primo rabbi che giungeva dalla provincia. Soltanto scribi e farisei sembravano interessati al nuovo arrivato, ma unicamente per contestarlo e irriderlo. Di fronte ad una così palese ostilità, ad un così deliberato ostruzionismo, Gesù reagì con due gesti clamorosi che, se da una parte gli procurarono notorietà, ponendolo al centro dell'attenzione generale in quanto sfidava l’aristocrazia sacerdotale e il potere politico-militare romano, dall'altra portarono inesorabilmente al suo arresto fatale e alla sua condanna a morte.

Gerusalemme dall'alto


martedì 21 febbraio 2012

Inchieste e sondaggi recenti mostrano che in tutti i Paesi democratici dell'Occidente la fascia d’età meno religiosa è quella giovanile.


 Raffaele Carcano, storico delle religioni e segretario nazionale dell'UAAR, analizzando i recenti sondaggi fatti nei Paesi democratici occidentali, ha confermato come la diffusione dell'incredulità non sia un fenomeno passeggero ma persistente e in via di rapida espansione. In quasi tutti i Paesi analizzati i non credenti rappresentano ormai il 18% della popolazione. 

 Negli USA, la patria dei sondaggi, le indagini sulla religiosità sono condotte con regolarità, intervistando decine di migliaia di cittadini. Le più recenti di esse (Pew Forum, ARIS) hanno confermato come la diffusione dell’incredulità non sia un fenomeno passeggero. Crescono, infatti, i non credenti, e tra i credenti crescono quelli che non fanno riferimento alle comunità cristiane storiche (battisti, metodisti, luterani e cattolici). Ma la Chiesa cattolica, pur in diminuzione, compensa in parte il calo dei suoi fedeli con l'afflusso costante di immigrati di origine ispanica.

 Negli Usa quindi la religione istituzionale ha sempre meno presa. Le sue prospettive future, se possibile, sono ancora più nere: per esempio, il 40% dei giovani USA non si riconosce più nel cristianesimo. Anche in un altro paese tradizionalmente considerato religioso, la «cattolicissima» Spagna, i giovani esplicitamente non credenti sono ora il 46%, quasi la stessa percentuale di coloro che si dichiarano cattolici (49%). 

E in Italia, ridotta negli ultimi decenni a sacrestia vaticana? I risultati diffusi negli ultimi dieci anni da osservatori stranieri, non certo sospettabili di simpatie nei confronti degli atei e degli agnostici, quali l’European Value Study, l’Encyclopedia Britannica, la World Christian Encyclopedia e il Dipartimento di Stato USA, sono concordi nello stimare gli italiani non appartenenti ad alcuna religione verso il 18,8% della popolazione (due terzi dei quali esplicitamente atei o agnostici), contro il 79,3% di cattolici. 

Ma significativamente, la stessa ricerca ha mostrato come i ‘veri’ fedeli, le persone caratterizzate da alti livelli di bigottismo, raggiungano la stessa percentuale dei non appartenenti: il 18,8%. Inchieste e sondaggi mostrano un ulteriore punto in comune con le realtà USA e spagnola (nonché con quelle di praticamente tutti i paesi democratici): la fascia d’età meno religiosa è quella giovanile. Nell’ultima indagine multiscopo italiana condotta dall’Istat si legge che «la percentuale più alta di frequentatori assidui si riscontra tra i 65 e i 74 anni», mentre gli italiani che non si recano mai, proprio mai in un luogo di culto, sono più numerosi tra i 20 e i 24 anni. 

I politici hanno preso atto di questo avanzante secolarismo? Negli Usa, Spagna, Francia e altri Paesi occidentali sì: in Italia, no. È dunque la classe politica italiana a costituire un’eccezione, a dimostrarsi ben poco attenta alle trasformazioni della società che pure è chiamata a governare. Non ci sono purtroppo avvisaglie che la situazione stia per cambiare: sta dunque ai laici reagire alla continua invadenza clericale in ogni settore dello Stato. 

Come? L'ideale sarebbe fondando un partito prettamente laico e, se necessario, anche anticlericale e, in mancanza di questo, scegliere i politici, nei vari partiti, che si proclamano apertamente non appecorati.

Raffaele Carcano


I nemici di Gesù e il complotto antimessianico (“L'invenzione del cristianesimo”) 44


Se Gesù fosse stato il pacifista descritto dai Vangeli, il Cristo che predicava la non-violenza e l'amore per i nemici, non avrebbe dovuto incontrare oppositori di sorta, perché un personaggio del genere non poteva ingenerare che rispetto e ammirazione e le autorità ebraiche e romane non avrebbero avuto alcun motivo per incriminarlo.

Avrebbe sicuramente incontrato il sarcasmo e il disprezzo degli zeloti che propugnavano l'odio e la vendetta contro gli oppressori romani, ritenuti i veri nemici d'Israele, e contro quanti degli ebrei li appoggiavano o non intendevano combatterli. Questi ultimi non avrebbero tollerato la sua predicazione pacifista che avallava il dominio romano in Giudea, e lo avrebbero sicuramente ucciso, vista la loro ferocia.

Ma il Cristo storico, zelota e circondato da zeloti, non era quello che ci presentano i Vangeli, riscritti dopo la seconda e definitiva distruzione di Gerusalemme e della Palestina nel 135 d.C. Il Messia descritto in questi Vangeli, infatti, non ha niente a che vedere col vero Gesù storico, ne è invece la negazione perché costruito secondo le idee di Paolo e dei suoi seguaci. 

Il vero Cristo mirava, come ben sappiamo, alla liberazione politica d'Israele, attraverso una lotta cruenta e risolutiva, e alla costituzione di un nuovo regno di Dio, fondato sull'ascetismo esseno e su una comunità terrena di uguali nella quale: "Colui che vorrà diventare grande sarà servo, e colui che vorrà essere il primo, sarà lo schiavo di tutti" (Marco 10,42). Un regno in cui il Messia inviato dall'Onnipotente " ha rovesciato i potenti dai loro troni e ha esaltato gli umili. Ha saziato di beni gli affamati e rimandato a mani vuote i ricchi" (Luca 1,52), e così imminente che molti dei presenti non sarebbero morti prima di averlo visto realizzare (Marco 1,15; Luca 10,10-11).

Molti ebrei, specie di condizione sociale più elevata, come i grandi sacerdoti, gli erodiani filoromani e la maggior parte dei farisei, non condividevano l'ideale messianico perché consapevoli della sua irrealizzazione e delle feroci repressioni che avrebbe determinato ed erano apertamente contrari a Gesù e lo osteggiavano in tutti i modi, arrivando perfino a tentare più volte di lapidarlo.

Naturalmente Gesù ricambiava questi suoi avversari di un uguale se non di un maggiore disprezzo. Ecco spiegato il motivo per cui nei Vangeli non vengono mai attaccati zeloti e sicari che imperversavano a quel tempo con inaudita ferocia (“argumentum ex silentio” per S. Brandon), e vengono bersagliati con ingiuriosi epiteti come: ipocriti, sepolcri imbiancati, insensati, ciechi e razza di vipere, i rappresentanti del Tempio e i farisei.

Non tutti costoro, a dire il vero, erano estranei al messianismo. Alcuni, anche molto importanti, come Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea, che provvidero alla sepoltura di Gesù dopo la sua crocifissione, ne condividevano le aspettative, a dimostrazione che il complotto messianico era diramato a tutti i livelli, anche se per opportunismo costoro preferivano rimanere ai margini della lotta armata.

I grandi sacerdoti e i più in vista degli scribi e dei farisei costituivano il sinedrio, cioè il consiglio supremo d'Israele, creato per giudicare e dirimere le controversie religiose e per controllare l'ordine pubblico. Sarà questo supremo tribunale a decretare la condanna a morte di Gesù, non per motivi religiosi (blasfemia) come vogliono farci credere i Vangeli, ma per motivi politici, denunciando a Pilato il tentativo di insurrezione armata contro Roma, ancor prima che Gesù e i suoi seguaci lo mettessero in atto.


lunedì 20 febbraio 2012

Il falso Jahvè (Genesi e involuzione del monoteismo biblico). Il senso di colpa e il nazireato. 73


Quindi, Gesù non era Nazareno bensì Nazireo come le erano molti ebrei del suo tempo. Lo era anche Giacomo suo fratello. Ce lo conferma Eusebio di Cesarea, un Padre della Chiesa che scrive: "Giacomo, fratello del Signore, era santo fin dal grembo materno. Non beveva vino, né altre bevande inebrianti e non mangiava assolutamente carne. Mai forbice toccò la sua testa; non si spalmava di olio e non prendeva il bagno. Non indossava abiti di lana, ma solo di lino" (Eusebio, Storia ecclesiastica II, 23,44-46). Più nazireo di così!

E i primi seguaci della Chiesa di Gerusalemme, guidati dagli apostoli Giacomo e Pietro, non erano chiamati Nazorei o Nazirei? Forse che provenivano tutti da Nazaret? (In tal caso avrebbero dovuto essere chiamati nazaretani).

Maria Maddalena era la moglie di Gesù? (“L'invenzione del cristianesimo”) 43


Ci sono altri testi apocrifi che confermano il legame tra Gesù e Maria di Magdala, come il Vangelo di Pietro e il Vangelo di Tommaso. Una prova, sia pure indiretta, del fatto che anche Gesù dovesse essere sposato, come in realtà lo erano i suoi fratelli e gli apostoli, la deduciamo dalla norma ebraica che imponeva al maschio, come dovere religioso e come completamento della persona, l'obbligo del matrimonio.

Questo dovere era ancora più indispensabile per uno che impersonava il ruolo di rabbi o Maestro, e noi vediamo che Gesù è chiamato rabbi o Maestro molte volte nei Vangeli sia canonici, sia gnostici ed apocrifi. "E subito si avvicinò a Gesù e disse: "Salve, Rabbi!" (Matteo 26,49). "Gli replicò Natanaèle: «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!»" (Giovanni 1,49).

Quindi Gesù, come tutti i rabbi ebrei, secondo la legge Mishnaica del suo tempo, molto esplicita a questo proposito: "un uomo non sposato non può essere un Maestro", non poteva essere celibe ( Massimo Bontempelli, Costanzo Preve. Gesù uomo nella storia, Dio nel pensiero).

D'altra parte quando mai nei Vangeli troviamo che Gesù abbia predicato in favore del celibato? Una dichiarazione in questo senso avrebbe sollevato enormi perplessità, se non un proprio e vero scandalo. Al contrario, Gesù dichiarò esplicitamente: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina, e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?" (Matteo 19,4).

Paolo e suoi scribi, volendo trasformare Gesù, da Messia javista qual era stato nella realtà, nel Cristo "Figlio di Dio" quale doveva divenire nella loro costruzione teologica, dovettero avvolgerlo in un alone di misticismo incompatibile con il ruolo, troppo terreno, del matrimonio, e quindi cancellare ogni traccia della sua famiglia acquisita. o creare delle controfigure per mascherarla.

Ma Giovanni, a leggerlo tra le righe, parla chiaro e ci fa capire che Gesù dalla croce affidò la madre a Lazzaro, che era contemporaneamente il discepolo ch'egli amava ed anche suo cognato (Giovanni 19,26-27).


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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)